La musica del rugby (di Marco Pastonesi)

“Fuori la teoria.”
“Va bene, ci provo. Allora, voi sapete che io suono il sax, e forse suono meglio il sax di quanto giochi da ala.”
“Non ci vuole molto.”
“Spiritoso. Posso continuare? Dunque: la musica. Per me è il jazz, ma potrebbe anche essere musica da camera o rap, canto gregoriano o reggae, insomma, io credo che sotto sotto, in fondo in fondo, cioè voglio dire dentro di sé la musica è tutta uguale. C’è un’idea, un’aria, una storia, una breve vita. Può durare lo spazio di una canzone o di un’opera, occupare il tempo di un sacramento o di una notte, ma quello che importa è che ha una sua esistenza. E non è tutto: in questa esistenza – ed è quello che la fa diventare arte – ha un’armonia, un equilibrio, insomma è come se fosse una creatura. Non necessariamente umana, anzi: potrebbe essere anche un cielo stellato oppure un’onda del mare o soltanto silenzio. Miles Davis, che non era un mediano di mischia gallese, ma un trombettista americano, sosteneva che il silenzio è un suono. Tant’è vero che più andava avanti, più eliminava. Voglio dire: Miles Davis spogliava i suoi pezzi per puntare sui suoni essenziali. Riesco a spiegarmi?”
“No. Ma continua.”
“Ecco. Una partita di rugby è come una musica. C’è un’idea, che è quella dello sport. Con le sue regole: la mischia, la touche… E i suoi divieti: non si può passare avanti, non si placca al collo…. C’è un’aria, che è quella del gioco: rugby champagne, cioè alla mano, oppure gran calcioni di spostamento e liberazione, oppure il gioco sporco, oppure quello aggressivo, sempre al limite del fuorigioco. Poi c’è la storia: che in una partita è segnata da mete, calci, drop. Se è una bella partita, avrà anche la sua armonia, il suo equilibrio, e se non può essere considerata proprio artistica, almeno sarà spettacolare.”
“E allora?”
“Allora io vorrei soltanto dire che certe volte, purtroppo è molto raro, sento davvero un’armonia, un equilibrio, quasi una perfezione. Quando la palla viene conquistata dalla mischia ed esce pulita, e poi viene trasmessa dal mediano all’apertura, e viaggia ruotando su se stessa ma come immobile, poi passata da apertura a centro, e da centro a centro, e da centro a estremo, e finalmente da estremo ad ala, come se fosse lei, la palla, che sceglie i giocatori e non il contrario, insomma, per me quella è un incantesimo, una magia, una musica. È un’onda, che maestosamente si avvicina a riva.”
“Scusa, Giorgio: non è che vuoi semplicemente ricevere qualche pallone in più?”