La contea dei ruotanti (di Franco Bomprezzi)

– Ehi, bella, dove credi di andare? -.
Giuseppe, il secondino che quella mattina l’aveva apostrofata volgarmente, non perse l’occasione per farsi notare.
– Vado dal prigioniero per concordare le modalità della riabilitazione esterna che comincia questa sera con un primo esercizio di mobilità autonoma – rispose la ragazza, sforzandosi di modulare una spiegazione professionale e secca – e poi non devo rendere conto a te. Stai al tuo posto, se non vuoi che faccia subito rapporto al Conte. Sono stata oggi da lui, e ti assicuro che non è giornata… -.
– Oh; scusami tanto. Ma come sei suscettibile, oggi. Non vorrei che con il pretesto della riabilitazione tu intenda spassartela con quel camminante. Comunque sono fatti tuoi. La strada la conosci, o no? -.
Questa volta Francesca non badò neppure alle insinuazioni del carceriere, e tirò dritto. Il cuore le batteva forte. Erano trascorse poche ore dall’ultimo incontro. Eppure quante cose erano cambiate nel frattempo. Ma se Paolo invece non avesse condiviso la sua passione? Se la sua fosse stata un’illusione da adolescente infatuata? Francesca si arrestò davanti alla porta della cella. Una cosa era certa: lei lo avrebbe liberato.
Quanto all’amore, non era così decisivo. O almeno in quel momento non voleva pensarci. Aveva tanta paura di sbagliare, di essere fraintesa. O peggio, di essere umiliata. Si rese conto in quegli istanti di avere rimosso troppo a lungo una parte di se stessa.

Come in un flashback, le apparvero alla memoria scene di un film già visto, un copione scadente, un finale scontato. Pochi mesi prima della rivoluzione, quando ancora viveva nel mondo dei camminanti. Una serata in discoteca. Lei in carrozzina, al centro della pista, a dimostrare che anche sulle ruote si può ballare il samba, impennando e roteando la carrozzina, scuotendo i capelli al ritmo dell’orchestra. Lui che la guardava e rideva, sorseggiando un Martini. La guardava e la desiderava. Lei che non aveva ancora provato il gusto della trasgressione, convinta di non poter piacere davvero a un uomo normale. Finito il ballo quell’invito a passare da casa. Giusto per ascoltare un disco e fare due chiacchiere in libertà. Lui era bello, forte e cortese, un giovane manager di un’azienda di tessuti del Veneto. Lei si sentiva pronta all’avventura, doveva provare, doveva dimostrare a se stessa che anche in carrozzina si possono provare emozioni forti e veloci, quelle che un dannato incidente le aveva precluso, condannandola al ruolo di amica, eterna amica, bella ma asessuata, un angelo biondo sulle ruote, inoffensiva e patetica. Quella sera finalmente sentiva il desiderio di buttarsi, di varcare il limite. Lui la prese per mano, uscirono insieme nel fresco umido della notte … E poi, subito, un altro fotogramma riaffiorò alla memoria: lei distesa sul letto sfatto, con le gambe nude abbandonate in un angolo innaturale, col respiro affannato e i vestiti slacciati. Lui seduto sul bordo, che le voltava la schiena, silenzioso e impacciato:
– Sai, non pensavo che fosse così. Non ce la faccio. Sei bellissima, ma quelle gambe inerti, fredde… mi sembra di usarti violenza, non voglio farti del male, meriti di più, meriti affetto. Insomma, scusami, ma io non me la sento -. Lei risalì in carrozzina senza dire una parola, si chiuse la porta alle spalle e pianse.

Francesca si scosse bruscamente dai ricordi che le avevano attraversato la mente con violenza. Curiosamente si rese conto di non ricordare neppure il nome di quel ragazzo.
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(da: BOMPREZZI, Franco, La contea dei ruotanti, Padova, il prato, 1999, pp.82-84. Per gentile concessione dell’Editore)