
[Articolo pubblicato per la prima volta il giorno 09/11/2013 nel sito antoniomessina.it]
Ci sono libri talmente ricchi di senso, di sfaccettature e di livelli di lettura da rendere difficile parlarne solo in breve. Gente indipendente (Milano, Iperborea, 2004, pp. 653), dell’islandese Halldór Laxness, premio Nobel 1955, è uno di questi libri.
Scritto fra il 1934 ed il 1935, Gente indipendente ruota attorno alla storia del contadino e allevatore Bjartur, un uomo determinato tenacemente, al limite dell’ottusità, a non avere debiti di alcun genere e con nessuno. Dopo diciotto anni a servizio di persone benestanti, un piccolo podere sperduto e qualche pecora sono la sua personale vittoria, il suo regno, la sua libertà. La sua indipendenza viene prima di tutto: delle relazioni umane, delle mogli, dei figli. I pilastri su cui la fonda sono durezza d’animo e forza fisica oltre che, vien da dire, una fiducia illimitata nelle pecore, specialmente quelle della razza introdotta nel distretto dal reverendo Gudmundur.
Lo stile di Laxness alterna momenti volutamente scarni, considerazioni di taglio quasi giornalistico, qualche pizzico di ironia e pagine di intenso lirismo. In qualche passaggio, sembra di poter trovare in Laxness l’ascendenza dell’oggi acclamatissimo Jón Kalmann Stefánsson. Assolutamente strepitosi, a parer mio, i resoconti delle conversazioni fra amici, dove uno stile quasi da verbale di riunione si rivela efficacissimo nel restituire atmosfere, personalità, momenti.
Bjartur vince molte battaglie ma finirà col perdere la sua indipendenza e praticamente tutte le sue cose materiali. La Prima Guerra Mondiale, i riflessi di questa sul prezzo della carne, il modo di ragionare delle persone che cambia rapidamente al primo accenno di benessere; sono tutti fenomeni che nascono molto lontano da Sumarhus, il podere-regno di Bjartur, ma che riusciranno a travolgerne l’apparentemente inattaccabile autonomia. Ma Bjartur non è tipo da piangere sulle proprie disgrazie. Rimane lo stesso di sempre e va in un nuovo podere a far girare ancora la sua ruota. Unica, grande, differenza, la figlia ripudiata che Bjartur, vincendo il suo orgoglio, è andato a cercare per condividere un tratto di esistenza.
Scrivendo Gente indipendente, Laxness aveva presente la sua epoca e la sua Islanda. Diversi dei temi affrontati, peraltro, superano le barriere temporali perché raccontano problemi che si ripetono nella storia umana: il conflitto fra vecchio e nuovo; la divisione in classi; i turbamenti adolescenziali; la distanza fra chi detiene il potere e chi lo subisce; il sogno di orizzonti più ampi; la lealtà e il tradimento. La vicenda di Bjartur, tuttavia, va oltre le intenzioni dell’autore quando descrive origini, responsabili e conseguenze della crisi economica che finirà per travolgere tutto e tutti. Laxness, cioè, non poteva immaginare che, ottant’anni dopo la stesura di Gente indipendente, buona parte del cosiddetto Occidente si sarebbe trovata a discutere sul ruolo che banche, potere finanziario e manager che lo gestiscono hanno avuto nella crisi economica e sociale di questi anni. Una crisi della quale, non diversamente da quanto accade nel racconto di Laxness, le maggiori conseguenze ricadono su tutti tranne che su coloro che l’hanno provocata.
Gente indipendente si chiude con una frase resa splendida dal racconto che l’ha preceduta: “Poi proseguirono il loro cammino”. Lungo la strada, Bjartur è rimasto lo stesso ma forse è spuntato qualche germoglio di cambiamento. A noi, chiuso il libro, rimane da riflettere sul protagonista, certo, ma anche su di noi, su come viviamo, su come leggiamo il nostro tempo, su come ne affrontiamo le difficoltà. Dobbiamo farlo anche perché, come forse direbbe Einar di Undhirlíd, una storia è una storia, e la realtà è la realtà.