Salvatore
di Antonio Messina
La metropolitana stava per chiudere, gli ultimi passeggeri si affrettavano verso l’uscita, nessuno di loro si fermava a comprare un biglietto della lotteria; normale così. Quella sera, semmai, di diverso dal solito c’era che il sottopassaggio dov’era il suo banchino sarebbe rimasto chiuso non soltanto fino alla mattina dopo, ma per qualche giorno. Fino a Natale di sicuro, gli avevano detto, e forse anche due o tre giorni più in là, perché con la manutenzione straordinaria non si sa mai come va a finire. Poco male, pensò Salvatore raccogliendo le sue poche cose. Prima di Natale la gente è tutta di corsa, e ha pure le mani piene di pacchetti e pacchettini; per comprare un biglietto deve proprio averne voglia. Così, chiuse il lucchetto attorno alle maglie della catenella che vincolava quella sua sorta di teatrino in legno a un anello murato alla parete, scambiò un saluto silenzioso col vigilante (che aspettava solo lui per chiudere i cancelli) e zoppicando si avviò verso casa. Quel giorno andava d’accordo con la sua gamba, non come il giorno prima. Era stato così dal momento dell’infortunio. Da principio aveva odiato l’impalcatura dalla quale era caduto; poi l’aveva ringraziata perché come invalido s’era assicurato quel banchino delle lotterie; poi aveva maledetto quella gamba che lo obbligava a trascinarsi; poi se n’era fatta una ragione; e poi sempre così, alternando serenità a tristezza, rassegnazione ed astio. Ma quel giorno ci andava d’accordo con la sua gamba, e zoppicando si avviò verso casa. Del resto, anche ad avere la gamba buona non c’era fretta, tanto viveva solo, e arrivare prima o dopo non avrebbe fatto differenza. Ecco, della mancata vendita di quei pochi biglietti che smerciava sotto le feste non gl’importava poi molto, ma la prospettiva di quei giorni a casa gli metteva malinconia. Era vero che da qualche mese aveva imparato a usare il computer, ma starci tutta la giornata per diversi giorni non era poi un granché di prospettiva. Purtroppo non c’era niente da fare. Gli altri anni teneva il banchino aperto anche il giorno di Natale, e bene o male le giornate passavano. Quell’anno, invece … Meglio non pensarci, si disse.
Prima la chiave nella serratura del portone, poi l’ascensore, e finalmente sul pianerottolo. Salvatore stava scegliendo dal mazzo la chiave di casa quando notò un dettaglio che non doveva esserci. Da dietro la sua porta, attraverso la fessura in basso, passava della luce. Eppure era sicurissimo di averla lasciata spenta. La mattina non le accendeva neppure, le lampadine. Per abitudine. Gli dava fastidio la luce appena sveglio, e poi si muoveva bene nella penombra, tanto casa sua la conosceva. I ladri, pensò, anche se gli sembrò subito improbabile. A parte il computer, forse, non c’era oggetto che potesse interessare un ladro. E anche il computer, a ben vedere, aveva ormai due anni, in quel settore equivaleva a un ferrovecchio.
Esitando infilò la chiave nella toppa, ma prima di farla girare si arrestò di nuovo. Non si trattava solo della luce, in casa sua ci doveva essere qualcuno. Si sentiva come un mormorio sommesso; perfino, in certi istanti, un rumore affatto simile a quello di sedie spostate trascinandole sul pavimento. Però non aveva l’aria di un rumore cattivo. Si fece coraggio e entrò.
“Salve, era ora! Ti stavamo aspettando.”
“E … voi … chi siete?”, chiese Salvatore. Davanti ai suoi occhi increduli, ad occupare sedie, divano e ogni angolo libero del piccolo appartamento c’era una stranissima folla. Un paio di falegnami parlavano fra loro. Un’angioletto in carrozzina, girando continuamente attorno al tavolo, aveva fatto venire il fiatone a un San Pietro trafelato, però con gli occhi che gli sorridevano. Una mamma cercava di convincere il figlioletto a cedere il suo Big Jim ai bimbi poveri delle suore. E poi tanti e tanti altri. Tutti lo guardavano, sorridenti e affettuosi. “Siamo le Storie di Natale – disse un piccolo Eric – Ci hanno detto che in questi giorni saresti stato solo, così siamo venute a farti compagnia.”
“Ma … da dove siete passati? Stamattina ho chiuso bene, benissimo.”
“Tranquillo, la porta è intatta – intervenne una ragazza incinta – Siamo passati da lì.” Il dito indicava l’angolo del soggiorno dov’era sistemato il computer. Lo schermo era acceso e sul video appariva il simbolo inconfondibile del programma che gestiva la sua posta elettronica. Un suono breve e acuto annunciò la scritta lampeggiante “You have new mail”. Poi, non si sa come, dallo schermo iniziò a uscire un mendicante che, per un curiosissimo effetto ottico, sembrava fossero tre.
“Auff, scusate il ritardo,” sbuffò.
“Mancavi solo tu,” brontolò un omone grande e grosso con un indosso una maglia da rugbista.
“Qualcuno ultimo doveva pur arrivare,” replicò seccato il mendicante.
“Buoni, buoni – li interruppe un obiettore – L’importante è che ci siamo tutti. Forza, chi comincia?”
“Se volete comincio io,” disse San Pietro. Subito si fece silenzio, e San Pietro cominciò a raccontare la sua storia. “Quella volta mi trovai davvero in forte imbarazzo. Non era mai capitata una cosa simile. Per tutte le stelle del cielo! Che poi sono tante, e forse pure troppe. Alle porte del Paradiso, proprio all’inizio della lunga e luminosa scalinata celeste, si era fermata una figura minuta, ma molto luminosa. Vista dall’alto, non si distingueva granché, tranne quello sbattere di alucce un po’ inquieto, che spesso hanno gli angeli ancora inesperti …”
La metropolitana sarebbe rimasta chiusa cinque giorni. Forse anche più, perché con la manutenzione straordinaria non si sa mai, ma che importava? Un sacco di storie erano lì con lui, e per ascoltarle cinque giorni ci volevan tutti. Forse anche più, pensò contento Salvatore mentre le storie seguivano l’una all’altra. E pure se non vendeva i suoi biglietti, quello sì che sarebbe stato un bel Natale.
Grazie amici.
Antonio Messina
(Contenuto pubblicato per la prima volta su antoniomessina.it il 24/12/1999)