
Il ciclismo è uno sport di fatica.
Il ciclismo, fra gli sport di fatica, è di quelli che invoglia ai toni epici. Fughe solitarie, salite impossibili, scatti fulminei, la disciplina ascetica degli specialisti nelle gare a cronometro… E questa varietà tutta all’aperto, col sole che picchia, sferzati dal vento, sotto scrosci d’acqua gelida…
La fatica del ciclismo è solitaria anche quando si è in gruppo e ci si aiuta, perché a spingere sui pedali ci sono solo due gambe, sempre le stesse, sempre le tue. Perciò anche l’ultimo arrivato riscuote il suo applauso. Anche lui ha lottato ed è arrivato in fondo.
Il ciclismo è fatto di gare che si svolgono lungo un percorso, anzi due: uno che si vede e l’altro che no. Anche il percorso che non si vede si snoda fra partenza e arrivo, ma è interiore, profondo, nascosto agli altri quasi per intero dalla monotonia del gesto atletico. Soltanto certi volti stravolti, a volte, denunciano la volontà ferrea di arrivare o, chi può dirlo?, un tale stordimento da fatica che non si aveva neppure la forza di smettere di pedalare.
Il ciclismo è fatto di milioni di pedalate. Nella monotonia di quel gesto, io credo, risiede la ragione di un ciclismo sport di leggende scritte e orali, ma poco adatto al cinema. Per quest’ultimo, meglio, assai meglio i dualismi esasperati del pugilato o di frazioni precise di certi sport di squadra, si tratti del touch down del football americano, del fuori campo nel baseball o del tiro da fermo nel gioco del calcio. Il cinema è duello evidente, non immersione silenziosa nelle proprie fibre fisiche e mentali, alla ricerca di quell’ultima stilla di energia che ti farà arrivare.
Il ciclismo è uno sport al quale mi sono appassionato fin da piccolo. Per le origini di questo mio interesse sospetto fortemente di mio padre, classe 1914, qualche trascorso da corridore amatoriale e, da giovane, la bici per incombenze che oggi strabiliano, come andare da Vizzini a Catania (130 km andata e ritorno, con le strade come potevano essere a metà anni Trenta) per comprare un po’ di chiodi che occorrevano al fratello sellaio. Tanti chilometri percorsi in gioventù garantirono a mio padre anche il diritto di trasmettermi, oltre alla passione, il suo punto di vista sulla faccenda nel suo insieme. Così, per molti anni, il ciclismo affascinante per me fu solo quello delle grandi imprese. L’ammirazione incondizionata era riservata ai cosiddetti scalatori e alle spietate tappe di montagna, meglio se in condizioni climatiche proibitive. Gli specialisti delle cronometro erano sopportati, mentre si arrivava a nutrire una vera ostilità per i velocisti, parassiti della fatica altrui che si facevano belli pedalando fortissimo gli ultimi duecento metri. Poi almeno io ho cambiato idea, tanto da ammettere nell’Olimpo dei miei ricordi sportivi anche qualche volata e un paio di gare a cronometro. Ne racconterò, prima o poi.
[In forma leggermente diversa, questo articolo apparve per la prima volta il 22/11/2012 nel sito antoniomessina.it]