

[Articolo pubblicato per la prima volta il giorno 14/03/2013 nel sito antoniomessina.it]
Da giovane mi accadeva di partecipare ad eventi, fossero concerti o manifestazioni di piazza, di cui poi leggevo sulla stampa. Ogni volta avevo l’impressione di essere stato in un luogo e un’occasione diversi da quelli descritti nell’articolo.
Negli anni ho poi assistito al ribaltarsi dell’opinione sull’attendibilità della stampa quotidiana. Quand’ero piccolo “c’è scritto sul giornale” aveva come appendice non detta “perciò è vero”. Oggi, per dirne una, mia moglie mi racconta che un diffuso quotidiano delle Marche da tempo è meglio noto come “il bugiardò”.
Negli ultimi trent’anni ho anche assistito alla morte dei giornali di partito (l’Avanti!, del Partito Socialista, chiuse nel 1993; Il popolo, della Democrazia Cristiana, nel 2003; l’Unità, del Partito Comunista, cessò di uscire su carta nel 2000) e alla nascita dei giornali-partito, su tutti la Repubblica con la sua perenne produzione di appelli, mozioni e lettere aperte.
In questi giorni, pieni di fermento per la mancanza di una chiara maggioranza parlamentare, l’informazione sta dando una prova che giudico pessima. Come mi accadeva trent’anni fa, leggere un articolo che parla di qualcuno e, poi, leggere o ascoltare quel qualcuno (con Internet la verifica è assai semplice) mi lascia l’impressione che fatti e resoconti non siano in relazione fra loro.
A volte, la mediocrità dei cronisti genera situazioni di una comicità ai confini del surreale. Ad una conferenza stampa del Partito Democratico dopo un incontro con una delegazione del Movimento 5 Stelle, i giornalisti hanno rivolto al rappresentante del PD soltanto domande su che cosa gli avessero detto gli esponenti del Movimento 5 Stelle e nessuna su che cosa avesse da dire lui.
La sensazione più frequente, però è di fastidio. Trovo insopportabili, per dire, le richieste di commento su frasi riferite dal giornalista e sconosciute all’intervistato. Siccome le frasi possono essere riferite male e, comunque, sono private del contesto, del tono e delle intenzioni con cui sono state espresse, ecco che la reazione più normale, nonché comprensibile, è quella del rifiuto di commentarle. Il giornalista scimmiotta un incalzante cronista d’assalto, io lo trovo soltanto petulante. Di sicuro, alla fine del servizio regolarmente mostrato dai canali televisivi, non ne so mai più di quanto ne sapessi all’inizio, lasciandomi nella convinzione che abolire i finanziamenti pubblici all’editoria, coi giornalisti e giornali che abbiamo, per noi fruitori dell’informazione non sarebbe un danno.