Mio caro Jonathan, è stato bello ma …

Jonathan Coe

[Articolo pubblicato per la prima volta il giorno 11/12/2013 nel sito antoniomessina.it]
Lo straordinario credito acquisito ai miei occhi da Jonathan Coe con La famiglia Winshaw mi ha poi spinto a leggere via via, con insistenza da innamorato, Questa notte mi ha aperto gli occhi, La casa del sonno, La banda dei brocchi, Circolo chiuso, La pioggia prima che cada, I terribili segreti di Maxwell Sim e finalmente (lettura conclusa pochi giorni fa) il recente Expo 58 (Milano, Feltrinelli, 2013, pp. 280). Quest’ultimo libro passerà alla mia storia di “lettore forte” come la classica goccia che fa traboccare il vaso. Infatti, se nessuno dei sei romanzi pubblicati da Coe dopo La famiglia Winshaw ne raggiungeva le vette stilistiche e di contenuto, Expo 58 è quello che più di tutti meriterebbe la qualifica di bidone.
La storia è insulsa, alcuni movimenti della trama sono di una banalità sconcertante. Per dire: il protagonista inglese vive un matrimonio privo di slanci e passione. Inviato in missione a Bruxelles per l’Esposizione Universale, viene accolto da un’avvenente hostess belga. Ebbene, tenetevi forte perché Coe risolve la situazione in modo geniale: i due finiscono per diventare amanti. Ma il protagonista è insulso come il libro che lo ospita e, dopo aver ondeggiato fra la belga e un’americana, ritorna al focolare domestico. Dopo alcuni decenni, vedovo, torna in Belgio e da un’amica comune viene a sapere che dall’unica appassionata notte d’amore con la belga è nata una figlia. L’intrigante vicenda si svolge intrecciando i suoi eventi con quelli legati alla gestione del pub Britannia, un locale che ricrea, all’interno del padiglione inglese ell’Expo, una tipica birreria britannica che, come il protagonista sarà costretto a scoprire, diventa il teatro di una lotta sotterranea fra i servizi segreti inglese e americano contrapposti a quello russo. Sotto i profili dell’originalità e della capacità di avvincere il lettore, la vicenda spionistica si colloca giusto mezzo gradino sopra quella sentimentale.
Così, dopo aver preso ben sette batoste in cambio di un unico capolavoro, penso proprio che lascerò Coe al suo destino. Devo anche dire che non amo e non ho intenzione di dedicarmi alle stroncature. Così, questo breve articolo non è altro che una lunga premessa all’invito a leggere (o rileggere) La famiglia Winshaw, il romanzo in cui l’innegabile talento narrativo di Coe si salda con una varietà di registri, una coerenza delle parti e, oserei dire, un valore civile mai ripetuti nei successivi romanzi.

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