Il regalo
di Antonio Messina
Mancava solo il nonno. Per quanto ci pensasse, Marco proprio non trovava un’idea per il regalo di Natale da fare al nonno. Un’idea bella, s’intende, perché era il nonno che lo accompagnava al campo due volte a settimana, e di questo Marco gli era molto grato. All’ora in cui cominciavano gli allenamenti, il babbo e la mamma erano impegnati col lavoro e, senza il nonno, il calcio, il Mister, i compagni, le docce calde e i campi infangati sarebbero rimasti un sogno.
Di quel sogno era bello tutto: l’attesa dell’autobus, il breve viaggio, e poi quel mezzo chilometro a piedi sempre riempito da racconti d’epiche gesta di campioni. Marco aveva dodici anni, e qualche volta capitava ancora che la mamma gli leggesse delle fiabe. Ma quelle del nonno, quelle sì che erano storie! Passaggi millimetrici, tiri violenti che toglievano le ragnatele dal “sette”, palloni che passavano beffardi fra le gambe degli avversari. E poi attaccanti che nessuno poteva fermare, difensori che nessuno poteva superare, e portieri imbattibili che pareva avessero le ali e con quelle volassero da un palo all’altro. Le storie del nonno alternavano nomi esotici e curiosi a ruvide sillabe italiane che restituivano, da sole, il sapore di un’epoca passata: Puskas e Armando Picchi, Garrincha e Angelo Domenghini, Pelè e Tarcisio Burgnich. E più di tutti Corso, Mariolino Corso, il Sinistro di Dio, il calciatore di tutte le meraviglie, il preferito del nonno. Marco ascoltava incantato quelle parole che disegnavano nella sua mente le parabole ardite ed imprendibili dei palloni colpiti da quel piede di velluto. Parabole lente ed irridenti, sembrava che il pallone andasse fuori e invece eccolo scendere all’improvviso ed infilarsi proprio sotto la traversa, il portiere immobile e stupito, gli avversari in barriera voltàti a veder vana l’inutile diga dei loro corpi.
Nonno lo accompagnava al campo due volte a settimana, ma questo non aiutava Marco a scegliere il regalo di Natale. Eppure, pensava, non era possibile che proprio il nonno a cui voleva così bene restasse senza doni. Poi, finalmente, l’idea.
Al nonno l’aveva chiesto, e prima di chiederglielo si era consultato con la mamma. Così era stato deciso: il regalo di Natale per il nonno sarebbe stato una sorpresa (il che era naturale) però Marco non gliel’avrebbe fatta trovare sotto l’albero. Dove, Marco non lo poteva svelare (era una sorpresa!) e neppure quando. Non proprio il giorno di Natale, perché quel giorno lì, aveva detto al nonno, fargli il regalo non era possibile. Sia la mamma sia il nonno avevano detto: “Va bene”. Fu così che quando venne il giorno dell’ultima partita prima della sosta natalizia, Marco chiese ai genitori di essere presenti anche loro, perché quel giorno avrebbe fatto il suo regalo al nonno. Poi dovette aspettare un bel po’ prima che si presentasse l’occasione, ma finalmente nel secondo tempo l’arbitro fischiò una punizione a favore della squadra di Marco, che si precipitò sul pallone e pretese di battere lui quel calcio piazzato. Si voltò verso le tribune, vide dov’era il nonno e da lontano lo salutò con un cenno, quindi si chinò e prese la poca terra che poteva stare nella sua piccola mano. Stese il pugno davanti a sé, lo aprì appena, e lasciò che lentamente, come da una clessidra, ne cadesse la terra. Nessuno capì, intorno a lui e sugli spalti. Nessuno tranne il nonno, che aveva gli occhi lucidi.
Ai lettori di questa storia, non serve sapere se Marco tirò la punizione come voleva e come sognava. Neppure serve sapere se il pallone superò la barriera disposta dagli avversari, e dopo quella le mani del portiere proteso in tuffo. Ai lettori di questa storia non serve conoscere se il pallone entrò in porta, né quale fu il risultato finale di quella partita. Forse, però, sarà utile narrare che intorno alla metà degli anni Sessanta, durante una gara ufficiale di una competizione internazionale, un giocatore dell’Inter subì un fallo in prossimità dell’area avversaria. La giornata era brutta. Mario Corso prese il pallone, lo collocò con cura sul terreno, poi prese una manciata di terra del campo su cui stava giocando e la lasciò cadere, per capire esattamente, prima di imprimere al pallone la traiettoria vittoriosa, da quale direzione provenisse il vento. E questo era ciò che il nonno aveva visto.
(Contenuto pubblicato per la prima volta su antoniomessina.it il 19/12/1999)