
[Articolo pubblicato per la prima volta il giorno 30/04/2013 nel sito antoniomessina.it]
Io amo le regole. Le amo nonostante l’opinione generale, e solidissima, che le avvolge. Perché ogni regola, si sa, limita la libertà individuale, soffoca l’iniziativa e finanche la creatività, se non addirittura lo sviluppo pieno e armonioso della personalità. Perciò qualsiasi regola e, peggio ancora, la curiosa pretesa che sia rispettata, sono cosa degna dei regimi repressivi, lagnosamente rivendicata da quei deboli che, per esser tali, sono anche inevitabilmente un po’ vigliacchi. Da questo ed altro ancora discende nel modo più necessario che la regola, ogni regola, è triste come l’animo di chi è costretto a piegarsi ad essa.
Io amo le regole perché sono convinto dell’opposto: le regole fanno un gran comodo e semplificano la vita. Per dire, quando guidiamo e arriviamo a un incrocio, sappiamo tutti quel che dobbiamo fare, perciò meno incidenti e perdite di tempo. Quanto alla libertà, la regola è uno dei suoi presupposti. La parola “autonomia” viene dal greco e significa “regola stabilita dallo stesso soggetto che la osserva” (ecco spiegato il titolo di questo articolo, con l’avvertenza che nómos, in greco, è di genere maschile). Dunque è autonomo, cioè libero, colui che indirizza la propria azione secondo dei criteri.
Poi, certamente, la regola è un frutto della mente umana, cioè di quel congegno che ha generato l’ouverture del Flauto magico ma anche i campi di concentramento. Senza arrivare al peggio, fra i due estremi troviamo anche le regole inutili o inefficaci, stupide o ridondanti, travisate o pervertite.
Le regole, certamente, possono anche essere troppe oppure ingiuste, dunque da eliminare, modificare o sovvertire. Il che mi porta ad altre due annotazioni. La prima è dovuta ad un ricordo. Gonzalo Montserrat, uno dei miei insegnanti di spagnolo, introducendo una lezione di grammatica ci disse: noi possiamo anche rompere o disapplicare le regole ma, per farlo, dobbiamo prima conoscerle. Era il 1986. Dopo quasi trent’anni, condivido ancora.
La seconda annotazione è che, per quel che ho visto, uno degli sport più praticati in Italia è quello che risolve in modo brillante il problema delle regole ingiuste, o sbagliate, o inefficaci o che, ancor più semplicemente, non piacciono. Di fronte a tali regole, inutile affaticarsi a rimuoverle o migliorarle, basta comportarsi come se non esistessero. Fra i praticanti di questo sport dispiace annoverare Giorgio Napolitano, da poco rinnovato Presidente della Repubblica. Fra le sue forzature del dettato costituzionale, una che ho sempre considerato grave è l’intervento (attraverso contatti tanto informali quanto diretti fra presidenza della repubblica e presidenza del consiglio) nel processo legislativo, ancora in fase di elaborazione della proposta di legge. La Costituzione è un sistema delicatissimo di equilibri e contrappesi. Il potere di richiedere alle Camere una nuova deliberazione su una legge (art. 74 della Costituzione) è tanto grande quanto da usare con estrema prudenza. Tuttavia, per esercitarlo con piena autonomia e legittimazione, è essenziale che il Presidente della Repubblica sia assolutamente esterno al processo di formazione della legge, specialmente quando tale processo ha coinvolto il governo.
Anche sull’art. 74 della Costituzione, naturalmente, esistono opinioni diverse. Rimane il fatto che Napolitano, a cui magari l’art. 74 non piace, poteva adoperarsi per arrivare a una sua modifica o soppressione. Invece, ha assai più semplicemente agito come se non ci fosse. Così facendo, del resto, forse ha davvero rappresentato gli italiani. Quelli che lo hanno eletto e poi rieletto.