
[Articolo pubblicato per la prima volta il giorno 12/05/2013 nel sito antoniomessina.it]
In un paese che abolì nel lontano 1977 l’insegnamento del latino dai programmi delle scuole medie, i quotidiani ospitano le fiere dichiarazioni dei contendenti che inalberano le opposte bandiere dello ius soli e dello ius sanguinis. Per intenderci, il paese è lo stesso nel quale fra il 2008 e il 2012 sono aumentati di oltre il 20% i suicidi dovuti a motivazioni economiche (dato fornito dall’Osservatorio nazionale sulla salute) [N.d.A. del 15/07/2019 Lo studio dell’Osservatorio non è più raggiungibile dal link a suo tempo indicato nell’articolo. Il dato sui suicidi per motivazioni economiche è comunque ripreso e confermato da altre fonti attendibili.], e nel quale il Ministro dell’Interno partecipa entusiasta a una manifestazione dove si critica la magistratura (attività, di per sé, più che legittima) perché un pubblico ministero, il tribunale di primo grado e il tribunale d’appello hanno ritenuto una persona colpevole di frode fiscale. Ma tant’è, ai problemi che abbiamo dobbiamo aggiungere, e subito, la scelta del presupposto giuridico per l’attribuzione della cittadinanza.
Secondo lo ius soli, diventa cittadino chiunque sia nato nel territorio dello stato. Secondo lo ius sanguinis, i genitori cittadini trasmettono la cittadinanza al figlio, ovunque sia nato. Così, un bambino figlio di genitori cittadini di un paese dove vige lo ius sanguinis, ma che nasce in un paese dove vige lo ius soli diventa cittadino di entrambi i paesi. A leggere i giornali, non trova sostenitori agguerriti quanto serve per finire in prima pagina lo iure communicatio (cittadinanza trasmessa da un componente della famiglia, per esempio per matrimonio o adozione. Sistema che offre lo spunto al bel film Il matrimonio di Lorna, dei fratelli Dardenne), con il quale si esauriscono i termini latini ma non i criteri di attribuzione della cittadinanza ai quali, per completezza, bisogna aggiungere il beneficio di legge (cittadinanza concessa automaticamente sulla base di presupposti predeterminati dalla legge) e la naturalizzazione (cittadinanza concessa a discrezione dell’autorità, per esempio, per meriti acquisiti).
La cittadinanza, cioè la condizione che permette di godere pienamente dei diritti civili e politici riconosciuto da uno Stato, non è un fatto di natura ma una figlia delle regole, cioè una costruzione della mente umana e, in particolare, del pensiero dedicato alla gestione del vivere sociale. Ogni regola, così, è giusta o sbagliata, efficace o debole, in relazione ai principi scelti e ai risultati che si desidera conseguire. Le condizioni per la concessione della cittadinanza (cioè dei diritti e dei doveri che essa porta con sé) sono perciò più o meno “giuste” in base a quello che si crede e che si vuole ottenere. Così, quel che ancora una volta non mi piace nel dibattito (termine generoso) attuale sulla cittadinanza è l’uso parziale (nel senso di limitato a una parte del tutto) di concetti complessi per battaglie pseudo-ideologiche che di quei concetti riprendono solo una delle molte facce.
Per esempio: alcuni difensori dello ius sanguinis scagliano strali contro lo ius soli sulla base del fatto che quest’ultimo porterebbe in Italia orde di gestanti asiatiche e africane, ansiose di far nascere i loro bebè in talia per poter, fra diciotto anni, alterare i risultati delle elezioni e, da subito, usufruire della nostra superba assistenza sociale e del noto lassismo della pubblica amministrazione. Lo scarso realismo tradotto in una simile paura irrazionale, però, viene contrastato con delle considerazioni ancora più astratte, trasformando lo ius soli in una sorta di procedura automatica di accoglienza dei profughi stranieri, senza alcuna valutazione degli effetti che avrebbe sullo sviluppo demografico dell’Italia, con tutto quel che segue in termini di assistenza sociale, previdenziale e via dicendo.
Mi piacerebbe, cioè, che qualcuno si prendesse la briga di dire quale sarebbe, in pratica, la differenza fra un sistema e l’altro, magari aggiungendo la base di fatto delle valutazioni. Per dire: quanti sono i bambini nati in Italia da genitori stranieri? Perché se sono dieci, o anche cento o mille, i giornali hanno sprecato molto inchiostro, i politici molte parole, e io circa un’ora del mio tempo.
P.S.
La vignetta è di Mauro Biani ed è ripresa da qui.