
[Articolo pubblicato per la prima volta il giorno 25/09/2013 nel sito antoniomessina.it]
Nel cuore degli appassionati, il ciclismo professionistico vive da diversi anni una sorta di sindrome dissociativa. Da un lato conserva intatti il suo fascino e la sua popolarità, dall’altro è ormai oggetto di pubblico e diffuso dileggio a causa dell’accertato ricorso, da parte di molti atleti, a sostanze di vario genere ma tutte finalizzate ad alterare i parametri fisici naturali.
L’uso di sostanze dopanti, tuttavia, non è un problema degli ultimi due decenni. Uno dei miei primi ricordi di appassionato delle due ruote è la morte di Tommy Simpson durante il Tour de France del 1967, causata anche dalle anfetamine assunte (e di sicuro non era l’unico) per migliorare la propria prestazione.
Il doping, a ben vedere, negli ultimi decenni è soltanto divenuto più scientifico, con tanto di studi per trovare sia sostanze che accrescano forza e resistenza, sia i modi per occultarle ai controlli. Ciò non toglie che la piaga sia antica e, chissà, nata assieme alle gare.
Nel cuore degli appassionati, tuttavia, il sogno vince sempre sull’evidenza ed è questo, forse, l’unico limite del prezioso saggio di Mimmo Franzinelli Il Giro d’Italia – Dai pionieri agli anni d’oro (Feltrinelli, 2013, pp. 342). Prezioso perché Franzinelli ricorre al suo riconosciuto valore di studioso per raccontare la storia del Giro d’Italia con vivacità e rigore. Una storia fittamente intrecciata con quella più grande dell’Italia, del suo sviluppo economico (interessanti i dati sul numero di biciclette circolanti in Italia nei primi decenni di diffusione di questo veicolo) e delle sue vicende politiche (dalla preferenza che il regime fascista riservò al calcio, alla celebre vicenda del Tour vinto da Bartali dopo l’attentato a Togliatti).
Il libro di Franzinelli è completamente, e gradevolmente, lontano da ogni celebrazione retorica delle gesta dei corridori. Peraltro, è proprio la narrazione asciutta degli eventi sportivi a lasciare briglia sciolta alla fantasia del lettore, libero di entusiasmarsi per le imprese di Binda, Bartali e Coppi, così come per la singolare vicenda della campionessa Alfonsina Strada.
Il doping c’era anche prima di Lance Armstrong (vincitore di sette Tour de France fra il 1999 e il 2005). Al tempo dei pionieri, forse, tutto si risolveva in qualche caffè ma sarebbe rischioso sostenere che il fenomeno sia esploso negli anni ’80. Sembra più probabile, invece, che la pratica del doping sia risultata più evidente non appena si è intensificata l’azione di controllo. Forse pensando a questo, dopo aver raccontato l’epoca del grande entusiasmo dei primi decenni del Giro, Franzinelli preferisce dedicare l’ultima parte del libro alla figura di Vincenzo Torriani, il dinamico organizzatore di decine di edizioni della prestigiosa corsa a tappe che, da manager dietro le quinte, finì col diventare un personaggio popolare quasi quanto i corridori.