La sinistra che mi va stretta

Immagine di Lenin durante un comizio

[Articolo pubblicato per la prima volta il giorno 02/01/2015 nel sito antoniomessina.it]
Riferito al mondo delle idee politiche, il termine “sinistra” è divenuto quasi inservibile per quanto è stato esteso o compresso, tirato da una parte o dall’altra, piegato agli scopi più diversi da un gran numero di persone che, senza neppure dover scavare molto, si scopre che condividono poco o nulla su che cosa sia giusto per il consorzio umano. Nonostante questo, nell’opinione comune rimane viva la vaga sensazione che sia “di sinistra” difendere i diritti dei lavoratori e preferire il “progresso” alla “conservazione” (salvo non precisare più di tanto in che cosa consistano concretamente l’uno e l’altra).
Quando, appena ragazzo, iniziai a interessarmi dei problemi del mondo, fu a “sinistra” che pensai di trovare l’abito della mia misura. Dopo quarant’anni, quell’abito ho cominciato a sentirmelo un po’ stretto. Provo a dirne i motivi dopo aver avvertito, peraltro, che mi riferirò volutamente a un’accezione amplissima del termine “sinistra”, senza addentrarmi nelle mille sfaccettature che distinguono, tanto storicamente quanto al giorno d’oggi, i suoi interpreti italiani dagli anni Settanta in poi.
Una prima idea che mi va stretta è la centralità del lavoro che, immediatamente, diventa centralità della produzione, con quel che segue in termini di modello sociale, sfruttamento di risorse e via dicendo. A mio avviso, questa idea sta alla base dell’incapacità, da parte della sinistra, di assumere integralmente nel proprio bagaglio le tematiche ambientali, così essenziali da affrontare per definire un’idea di futuro equo e sostenibile. Come se non bastasse, la sinistra ha spesso visto le scelte di tutela dell’ambiente come alternative o addirittura in contrasto con la tutela del lavoro dimostrando, una volta di più, di non aver compreso i termini del problema. Lo schema della sinistra, così, spesso è stato il seguente: i posti di lavoro vanno salvaguardati; se si inquina, pazienza; se bonificare è costoso e il privato non se lo può permettere, intervenga lo Stato perché i posti di lavoro vanno salvaguardati. Che quel lavoro, e il prodotto che ne deriva, siano insensati economicamente e insostenibili ambientalmente, poco conta, perché i posti di lavoro vanno salvaguardati.
Una seconda idea che mi va stretta è la centralità dei lavoratori. I lavoratori sono importanti ma la loro non è l’unica categoria (tanto sociale, quanto interpretativa) su cui fa perno la comunità delle persone. Se si può opinare sulla validità teorico-operativa della categoria dei “poveri” cara al pensiero cattolico, per esempio, dovrebbe raccogliere maggiori consensi, a mio parere, la categoria “persone” o, provando a focalizzare un po’, quella di “soggetti deboli”. Viceversa, nella mia esperienza ho incontrato spesso una “sinistra” che organizzava scioperi di chi lavorava e reclamava il lavoro per chi non l’aveva; non ho incontrato mai, o quasi, una sinistra che organizzava gruppi di acquisto o reti solidali dedicate alle persone anziane, ai ragazzi che avevano bisogno di un doposcuola, ai disabili o ai senza tetto. Volendo forzare un po’ l’immagine, la sinistra si è occupata dei lavoratori e si è dimenticata delle loro famiglie.
Le modeste riflessioni che avete appena letto sono figlie della mia esperienza di questi ultimi anni, fortunatamente ricca di momenti schierati, partigiani, concreti e trasversali. Sia nel Gruppo di Acquisto Solidale a cui partecipo, sia nella rete dei soci di Banca Etica di cui mi onoro di far parte, infatti, convivono persone dalle storie politiche e personali più diverse. Queste persone, tuttavia, riescono a incontrarsi sul terreno comune delle azioni a difesa della dignità delle persone e a sostegno della loro possibilità di esprimersi e realizzarsi. Più in generale, queste persone si ritrovano nel provare a disegnare un’idea di futuro sostenibile ma ancor più, se possibile, a praticare già oggi quell’idea di futuro.
Non dubito che, fra le autoproclamate persone “di sinistra”, in molti storceranno il naso e, chissà con una punta di disprezzo, mi diranno che quel che dico non basta e addirittura è grave, perché non mette in discussione “i rapporti di forza” o perfino il “modello di società capitalista”. Per questo primo articolo del 2015, però, ho già scritto molto. Replicherò alla critica in un’altra occasione, prima o poi. Buon anno a tutti.

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