Tutto quel che ho da dire è già stato detto

Una scena del film “Brian di Nazareth” (1979, regia di Terry Jones)

[Articolo pubblicato per la prima volta il giorno 15/06/2015 nel sito antoniomessina.it]
Non ho un libro (o un film) “che mi ha cambiato la vita”, però ci sono libri e film che rappresentano opinioni che sento mie e lo fanno in un modo che ritengo, per dir così, “definitivo”. È per questo, per esempio, che in un post di alcuni mesi fa mi riferii al saggio di George Orwell Elogio del rospo come ad un testo che “… che dice tutto quel che c’è da dire sulle ragioni e il senso dell’impegno politico e sociale. Perlomeno, dice tutto quel che io avrei da dire sull’argomento.”
Altri esempi? Credo che Decalogo 5, del regista polacco Krzysztof Kieślowski, abbia reso inutile ogni ulteriore riflessione sulla pena di morte, spiegando orrore e insensatezza a tutti e per sempre.
Poi c’è la fulminante descrizione di un tipo umano contenuta nei Promessi sposi. Ci sono persone che costruiscono la propria fortuna sulla tendenza che hanno le persone a credere vero ciò che è solo un frutto della propria immaginazione o dei propri desideri. Basterebbe poco per smascherare l’inganno, basterebbe ancor meno a lasciare dove sono certi accenni sospesi e misteriosi, eppure sono molti quelli che assecondano ciò che credono vero e non ciò che verificano che sia vero. Le due parti protagoniste di questo meccanismo mentale sono espresse da Alessandro Manzoni in modo insuperabile nella descrizione manzoniana del Conte Zio. “Un parlare ambiguo, un tacere significativo, un restare a mezzo, uno stringer d’occhi che esprimeva: non posso parlare; un lusingare senza promettere, un minacciare in cerimonia; tutto era diretto a quel fine; e tutto, o più o meno, tornava in pro. A segno che fino a un: io non posso niente in questo affare: detto talvolta per la pura verità, ma detto in modo che non gli era creduto, serviva ad accrescere il concetto, e quindi la realtà del suo potere: come quelle scatole che si vedono ancora in qualche bottega di speziale, con su certe parole arabe, e dentro non c’è nulla; ma servono a mantenere il credito alla bottega.”
Sono convinto che la nullità umana di certi (tanti) politici fanfaroni e pieni di sé sarebbe meglio evidenziata dall’ignorarli anziché metterli comunque, sia pure per criticarli nel modo più feroce, al centro della scena. Ed è un esempio fin troppo alto quello fornito da Lev Tolstoj in uno strepitoso passaggio di Guerra e pace che, nel modesto contesto di questo mio blog, posso citare (si tratta dei capitoli XIX e XX della Parte Terza dell’opera) solo per estratti:
“L’atteggiamento di magnanimità col quale [Napoleone] aveva intenzione di comportarsi a Mosca ormai trascinava lui stesso. Già fissava in mente sua, i giorni di réunion dans le palais des Czars, dove si sarebbero incontrati i dignitari russi con i dignitari dell’imperatore francese. Nel suo fantasticare, già nominava un governatore che sapesse accattivarsi le simpatie della popolazione. Avendo saputo che a Mosca c’erano molte istituzioni di beneficenza, aveva già deciso, tra sé, che avrebbe colmato di generosi favori tutte quelle istituzioni.

Intanto, nel seguito dell’imperatore, nelle file più arretrate, si stava svolgendo a bassa voce un concitato consulto fra generali e marescialli. Quelli che erano stati inviati a chiamare la deputazione avevano fatto ritorno con la notizia che era deserta, che tutti erano partiti e l’avevano abbandonata. Le facce delle persone riunite a consulto erano pallide e agitate. Non li spaventava tanto il fatto che Mosca fosse stata abbandonata dagli abitanti (per quanto importante sembrasse quest’avvenimento), quanto il pensiero di come annunciare la cosa all’imperatore; come annunciargli, senza mettere Sua Altezza nella terribile situazione che i francesi definiscono
ridicule, che inutilmente aveva atteso i boiardi così a lungo, che a Mosca era rimasto qualche gruppetto di ubriachi, ma nulla di più.

“… era vuota Mosca mentre Napoleone, stanco, inquieto e accigliato, camminava avanti e indietro lungo il Kamerkolležskij Val, in attesa di quell’esteriore, ma indispensabile osservanza del cerimoniale, ossia il presentarsi di una deputazione di moscoviti.
Nei vari angoli di Mosca, ormai, la gente continuava a muoversi e a camminare senza chiedersi il perché, senza alcun motivo, conservando le vecchie abitudini, ma senza rendersi conto di quello che faceva.
Quando, con la dovuta cautela, fu annunciato a Napoleone che Mosca era vuota, egli guardò con ira colui che gli dava la notizia e, voltandogli le spalle, continuò a camminare su e giù in silenzio.
«La carrozza,» ordinò.
Si sedette in carrozza accanto all’aiutante di servizio e si recò al sobborgo.
«
Moscou déserte. Quel évenement invrainsemblable,» diceva fra sé.”
E, con stile ovviamente assai diverso, non trovo meno geniale, efficace e “definitiva” la feroce ironia con la quale i Monty Python riassumono in poche battute la storica attitudine dei progressisti rivoluzionari di spaccare il capello della “purezza ideologica”, attitudine assai più forte delle azioni pratiche in favore di quelle masse per le quali proclamano di battersi. La scena è in un film quasi tutto memorabile come Brian di Nazareth. Chi, come me, ha frequentato la sinistra italiana degli anni ’70 (mamma mia!: del secolo scorso!) , soprattutto quella cosiddetta “extraparlamentare”, non potrà non riconoscere, per sempre, la verità raccontata dallo storico gruppo inglese. Sarebbe bello, anche in questo caso, avere l’onestà di dire che certe attitudini mentali non sono però sparite nei decenni successivi.

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