
[Articolo pubblicato per la prima volta il giorno 07/07/2015 nel sito antoniomessina.it]
Il bersaglio di questo mio piccolo scritto è l’uso corrente dell’aggettivo “rigorosa” riferito alla politica economica praticata dalla Germania.
La parola “rigorosa” vuol suggerire l’idea di uno Stato parsimonioso, attento ai propri equilibri di bilancio, finanziariamente virtuoso anche se un po’ rigido, compunto e tenero come un bambino che, dopo averci pensato su, decide di non comprare lo zucchero filato e mettere il soldino nel salvadanaio. La Germania, insomma, viene presentata come fautrice di una gestione sana dell’economia, magari un po’ noiosa ma rassicurante.
In questi ultimi giorni, parlare di “rigore” della Germania sottintendeva un confronto con le cicale greche, ieri indebitatesi fino al collo e oggi riottose a pagare il fio delle loro spese allegre. L’espediente retorico, dunque, era quello, non nuovo, di accreditare nell’opinione comune la verità di un’idea semplicemente limitandosi a evocarla, come se si trattasse di un fatto così evidentemente e notoriamente vero da non richiedere spiegazioni e approfondimenti. Perciò ho voluto curiosare un poco, scoprendo alcune cose.
Nel 2014 (fonte Eurostat) la Germania ha registrato un debito pubblico di 2.170 milioni di euro, con un rapporto “debito/prodotto interno lordo” del 74%. Per fare un confronto: a dicembre 2014 l’Italia aveva un debito di 2.134 milioni di euro e un rapporto debito/PIL del 132%. L’Italia è messa peggio ma, per rimanere in tema col dibattito di questi giorni, “se Atene piange, Sparta non ride”.
In Germania il 45% del sistema bancario è ancora in mano pubblica, cioè di proprietà dello Stato o dei Länder (per chi se lo fosse dimenticato: la Germania è uno stato federale). Lo Stato tedesco, per esempio, è il più forte azionista (17% del capitale sociale) della Commerzbank, la seconda più grande banca tedesca.
Come stanno le banche tedesche? Nel 2014 esse hanno tutte superato i cosiddetti “stress test” dell’Unione europea sulla base della singolare considerazione che le attività finanziarie sono meno rischiose di quelle creditizie. In sostanza, la banca è stata ritenuta solida quando il suo patrimonio era pari ad almeno l’8% dei crediti erogati. Gli investimenti finanziari nel portafoglio delle banche europee, invece, non necessitavano di una corrispondente base patrimoniale neppure se si trattava di investimenti ad alto rischio.
In altre parole, gli stress test sono stati un po’ come un esame del sangue eseguito per controllare i rischi di occlusione dei vasi sanguigni ma che non misura il livello di colesterolo. Così, per fare due esempi, la citata Commerzbank ha superato il test riferendosi ai 200 miliardi euro di crediti e non anche ai 361 ulteriori miliardi impegnati in attività finanziarie mentre la HSH Nordbank (altra banca in mano pubblica) è stata considerata a rischio per 38 miliardi di euro di crediti e non per gli ulteriori 72 di investimenti finanziari.
Il criterio seguito negli stress test è tanto più strano quando si consideri il livello quantitativo del rischio finanziario assunto da certe banche. La prima banca tedesca, Deutsche Bank, sarebbe esposta (uso il condizionale perché la fonte che ho rintracciato non è ufficiale ma di una società di analisi) in investimenti sui cosiddetti “derivati” per 54.7 trilioni di euro (non chiedetemi a quanto diavolo possa corrispondere una cifra del genere nella realtà). Il giorno che esploderà qualche bolla, si salvi chi può, dunque.
Insomma, la “rigorosa” Germania è indebitata fino al collo, il suo sistema bancario è abbondantemente partecipato dallo Stato, le sue banche superano dei test eseguiti da un controllore che si copre gli occhi, la sua economia reale è messa a repentaglio dai livelli stratosferici toccati dalle attività speculative e il “rigore” sembra poco più che una favola che si racconta ai cittadini europei per addormentarli mentre fra gli scenari possibili, fantasticando un po’, ci sono code di tedeschi alla frontiera con la Grecia pronti a barattare le loro Mercedes con due forme di feta.
Come sentenzia il detto: non è tutto oro quel che luccica.