
Sistemando carte vecchie e vecchissime salta fuori il mio biglietto d’ingresso a un concerto del gruppo heavy metal inglese Iron Maiden, a Roma, nel 1981, cioè quando avevo 21 anni. L’esibizione fu tutt’altro che memorabile, tuttavia quel concerto si è impresso in modo indelebile nella mia memoria a causa, in verità, del pubblico.
Fin dalla calca per entrare nel “teatro-tenda” in cui si sarebbe svolto ebbi il sospetto di non essere in tono con l’evento. La mia semplice maglietta di cotone a tinta unita risultò un unicum rispetto a quelle indossate dagli altri spettatori, tutte variamente decorate con teschi, zombie e Morti incappucciate che brandivano una falce. Non riduceva il gap un mio leggero giubbottino bianco, povero agnello fra le decine di giubbotti in pelle nera variamente zavorrati in modo da sembrare, più che un capo d’abbigliamento, il campionario d’un negozio di ferramenta. Poco male, pensai. Tutti eravamo lì per ascoltare musica. A concerto iniziato, l’attenzione sarebbe stata rivolta solo al palco e nessuno avrebbe badato al mio abbigliamento troppo sobrio.
Dunque trovai un posto e mi sedetti in attesa che iniziasse lo spettacolo. Rimasi un po’ deluso constatando che non avevano distribuito il programma di sala, una paginetta che leggo sempre con interesse e, comunque, aiuta a far passare il tempo. Mi seccò pure che le file di sedie non fossero sfalsate in modo da favorire una migliore visibilità. Tuttavia, mi consolai constatando che le sedie erano provviste di braccioli che permettevano di mettersi comodi, quindi di disporsi all’ascolto nel miglior modo possibile.
Gli Iron Maiden si presentarono in ritardo. I ritardi mi infastidiscono e, se ne fossi stato capace, avrei indirizzato ai musicisti un fischio da mandriano. Una reazione che sarebbe rimasta isolata, peraltro. Dimenticando subito l’attesa immotivata a cui era stato costretto, infatti, quasi tutto il pubblicò salutò l’ingresso degli artisti con urla e pugni levati in aria in segno d’irrefrenabile entusiasmo. Ciò non bastando, in molti, per non dire tutti, si alzarono in piedi e saltarono ripetutamente senza poi tornare a sedersi.
Va da sé che le persone in piedi impedivano a quelle sedute di vedere il palco e chi lo calcava. Ciò generò qua e là degli inviti a riposizionarsi nel modo corretto, inviti che però si persero miseramente fra le urla del pubblico e quelle del cantante, che, oltretutto, era pure amplificato.
Stante la situazione, per vedere qualcosa ci si doveva rassegnare a alzarsi in piedi come gli altri. La cosa mi sembrava irragionevole e senz’altro mi indispose, tanto che misi il broncio e decisi di rimanere seduto. Tale scelta si rivelò anche più unica del mio abbigliamento. Già al primo dei brani in scaletta, le sedie ormai servivano a ben poco e, a parte me, quasi nessuno le utilizzava più.
Lo ammetto: la musica sparata ad altissimo volume dalla casse; la gente che si agitava ed io soltanto che stavo lì seduto… Era una situazione alquanto strana. Ancora inesperto del mondo, non sapevo che stava per diventare ancor più strana.
Essendo tutti alzati, per riuscire a vedere qualcosa ci fu chi ebbe la bella idea di salire in piedi sulla sedia, guadagnando una buona visuale. Per quanto in preda all’eccitazione del concerto, non furono in pochi a notare la brillante iniziativa decidendo di imitarla.
Va da sé che le persone in piedi sulle sedie impedivano a quelle in piedi sul pavimento di vedere il palco e chi lo calcava. Rese scaltre dall’esperienza, le seconde saltarono a piè pari la fase dell’invito a scendere e salirono anch’esse senz’altro sulle sedie. Nel giro di due minuti stare in piedi sulla sedia era la regola, io l’eccezione che la confermava.
Pur ostinatamente seduto, dovetti tuttavia a considerare l’ipotesi di alzarmi. Quelli vicino a me che saltavano sulle sedie cominciavano a sembrarmi un po’ pericolosi, infatti, e temevo che prima o poi qualcuno mi sarebbe cascato addosso.
Intanto che il concerto proseguiva, essendo tutti in piedi sulla sedia, per riuscire a vedere qualcosa ci fu chi ebbe la bella idea di salire sui braccioli. Prevedibilmente progettati per dare sostenere braccia e spalle e non persone intere, tali accessori fecero del loro meglio ma ciò non gli impedì di flettersi e molleggiare, rendendo instabile l’equilibrio e costringendo chi li utilizzava ad appoggiarsi alle persone accanto senza avere il tempo di avvisarle.
Pur di fronte ai limiti evidenti dell’iniziativa, essa piacque come le precedenti e via via tutti salirono sui braccioli, restandoci il tempo permesso dall’equilibrio e dalla disponibilità dei vicini a fare da sostegno.
Definitivamente distratto dalla musica, mi alzai e cercai un posto più sicuro, trovandolo dietro l’ultima fila di sedie, vicino all’uscita. Rimasi lì fino alla fine del concerto, anche se oggi non ne so più il perché.