Iniziamo con le smentite: il rugby è uno sport violento per persone tutte muscoli e niente cervello.
Il rugby è uno sport violento giocato da gentiluomini.
Si racconta che il rugby nacque durante una partita di calcio. Un giocatore si esasperò perché il risultato non si schiodava dallo zero a zero, così prese il pallone in mano e lo depositò oltre la linea di porta. È una storia vera?
Il giocatore si chiamava William Webb Ellis, il campo era quello della Rugby School (che non era la scuola del rugby, ma la scuola della cittadina di Rugby), dove adesso una lapide ricorda l’antica trasgressione. Il resto sa un po’ di leggenda.
Vera o no, è una storia che mi piace, per tanti motivi. Ad esempio: ci sono le regole e una persona che decide di romperle, cioé il rugby nasce da una ribellione.
Tutte le novità nascono da ribellioni, trasgressioni, rotture. Poi ricomincia la codificazione, i regolamenti, le leggi. Scritte e non scritte.
Altro motivo: ci sono regole che non piacciono e, anziché eluderle, ci si colloca apertamente fuori di esse e se ne creano di nuove, cioé il rugby nasce da una assunzione di responsabilità finalizzata a rompere per costruire.
Appunto.
Uno dei motivi di fascino del rugby è l’equilibrio perfetto che c’è fra il talento individuale e la necessità del gioco di squadra.
Di talento, in giro, ce n’è sempre poco. Per fortuna il gioco di squadra, anzi, lo spirito di squadra riesce a colmare questo vuoto.
Anche a questo riguardo, puoi spiegare in poche parole il concetto di “sostegno”?
Di giocatori con il pallone in mano ce n’è uno solo. E di strada, in genere, ne fa poca. Per questo ha sempre bisogno di qualcuno che gli venga dietro, che lo aiuti quando lui verrà placcato e dovrà mettere il pallone a terra. Non solo. Siccome il pallone non si passa mai avanti, almeno con le mani (in verità neanche con i piedi, perché i compagni si trovano sempre dietro), allora il riferimento è sempre dietro. Come in guerra: gli uomini della prima linea, a contatto con i nemici, gli uomini delle linee arretrate, pronti a intervenire. O come diceva Paolo Rosi, giocatore e giornalista Rai, la fanteria e la cavalleria.
Un’altra cosa strana e bellissima del rugby è il rispetto per l’arbitro.
C’è una regola, convincente: a ogni protesta l’arbitro può dare i dieci metri, cioè sottrae dieci metri di campo (terreno, trincea…) alla squadra. E solo chi gioca a rugby sa che cosa significano dieci metri di campo conquistati corpo a corpo.
Una cosa forse ancora più strana e più bella è che a volte l’arbitro non interviene. Alludo a certi falli subiti da un giocatore che ha commesso una scorrettezza, il quale viene così “punito”, sotto gli occhi di tutti, per la sua slealtà.
È una di quelle regole non scritte, ma vigenti. Un uomo viene calpestato in mischia solo se si trova in fuorigioco, cioè al di là della linea determinata dal pallone, semplicemente perché in quel momento non si doveva trovare lì. Quindi gli avversari hanno fatto finta che lui non fosse lì.
Ce ne sono altre, di regole non scritte?
Fra le regole non scritte, quella del calpestamento è esemplare, ma puoi aggiungere quella del capitano che è sempre il primo a entrare in campo e l’ultimo a uscirne.
Il rugby lo scoprii in televisione. Si trattava di una partita del Torneo delle Cinque Nazioni, giocava il Galles di Gareth Edwards.
Un’ottima occasione. Gareth Edwards è stato uno dei più brillanti interpreti di questo sport. Figlio di un minatore, la statua di Gareth – che è vivo e vegeto – sta nel mezzo di Cardiff.
In un tuo pezzo, lessi che fu proprio di Edwards la più bella meta che hai visto realizzare in vita tua. La puoi raccontare in poche parole?
Presente uno slalom di Alberto Tomba?
Tutti gli appassionati di rugby hanno un mito: gli All Blacks.
La nazionale della Nuova Zelanda, mito un po’ per il nome, un po’ per il gioco, un po’ per la divisa, un po’ per passione.
È anche il tuo mito?
Sì, insieme al Frascati.
Tu a che livelli hai giocato?
Quattro anni da riserva, però in serie A. E nove anni in serie B.
Complimenti! E ora, per un assaggio della scrittura di Marco Pastonesi, clicca pure qui.
[Contenuto pubblicato per la prima volta su antoniomessina.it il 22/08/2010]