Ho diciannove anni, ma è già da molto che scrivo. Potrei dire che lo faccio da sempre, fin da quando ero piccola. A scrivere poesie, però, mi spinse la gelosia. Mio nonno stava guardando la televisione. Quale programma non saprei più dirlo, ed io ero ancora poco più che una bambina. Però ricordo che a un certo punto mio nonno si voltò e disse: “Hai visto, così giovane è già diventato un poeta”. Chissà chi era, quel giovane di cui stavano parlando, ma ebbi l’impressione che mio nonno lo preferisse a me. Così presi carta e penna e provai anch’io a scrivere una poesia. Poi ho continuato.
Il nonno è stata una presenza importante. Provengo da una famiglia di origini molto umili, dove pochi hanno più della terza media e libri non se ne sono mai letti troppi. Però il nonno ci teneva alle mie poesie, mi faceva sentire che per lui erano importanti, e forse è stato l’unico che mi ha davvero incoraggiato a continuare.
Gli altri no. Certo, a casa mi vogliono bene, e quando per le feste ci riuniamo con tutti i parenti, so qual è il regalo che tutti si aspettano da me: una poesia per ciascuno, accompagnata da una foto. Ma so anche che apprezzano più l’affetto che esprime che la poesia in se stessa.
No, non c’è nessun altro. Che condivida con me questo interesse, intendo, o che lo apprezzi in modo particolare, neanche fra le mie compagne. La mia classe è tutta femminile e trovo che fra donne si crei più facilmente la competizione che la solidarietà. Ma forse un po’ dipende anche dagli insegnanti, che non seguono abbastanza gli studenti, non li stimolano. Quando a scuola affissero il bando di un concorso di poesia, il professore che avevo al ginnasio quasi mi scoraggiò. Io decisi di partecipare lo stesso, di nascosto. Volevo provare. Vinsi il primo premio, e il professore cambiò idea. Poi andai al liceo, cambiai insegnante, e a quella che trovai, delle mie poesie, non importava molto. Ma ormai avevo preso la mia strada.
I concorsi di poesia. Ho avuto molti riconoscimenti. Comunque non scrivo per ottenere quei premi. Vedo il bando, e se ho qualcosa che può andar bene, partecipo, senza ansie. Forse i concorsi mi servono semplicemente per dare uno scopo alle parole che fermo sulla carta, o forse per avere un rapporto con l’esterno, visto che intorno non ho con chi scambiare idee su questa mia passione.
Se non scrivo sto male. Ho saputo che queste stesse parole le ha dette un grande scrittore inglese contemporaneo, Jonathan Coe. Io non l’ho mai letto, ma mi ha fatto piacere condividere con lui questa sensazione. Comunque, non ho mai pensato: “Voglio diventare una scrittrice”, e la scrittura, almeno oggi, è uno dei miei interessi. Importante, ma non l’unico.
Scrivo di notte, quando finalmente riesco a isolarmi dagli altri e dalla mia vita quotidiana, che è ancora, in buona parte, fatta di compiti e interrogazioni. Il tema che forse ricorre di più è la natura, della quale amo specialmente il mare. L’amore, ancora no. Una poesia d’amore l’ho scritta, a dire il vero, ma ero così piccola … Credo che l’amore sia un’altra cosa.
La tecnica è un problema che non mi sono mai posta. Non ritocco mai i miei testi. Per ora mi va bene così.
Mi diverte farmi conoscere, specialmente andare nelle scuole. Fu buffa una volta che i bambini si aspettavano un personaggio serioso e adulto, invece sono arrivata io.
Dei grandi poeti che ho letto a scuola mi piace molto D’Annunzio, che trovo molto musicale e pieno di fascino. Negli ultimi tempi mi sono dedicata un po’ alla lettura di Wordsworth e Coleridge. In inglese. Non conosco benissimo la lingua, ma mi sforzo. Un po’ mi aiuta mia madre che ha vissuto in Inghilterra. Poi Ungaretti, per il suo ermetismo. Sì, proprio per il fatto che è così difficile da capire, anche se io, al contrario, mi sforzo di essere semplice e comprensibile.
Forse, semplicità e comprensibilità sono le uniche cose che cerco davvero, sempre. Non solo quando scrivo poesie, voglio dire. Anch’io come persona, infatti, vorrei essere semplice e comprensibile. Sono questi i due complimenti che apprezzo di più, mentre mi ferisce essere giudicata come una persona falsa, che agisce allo scopo di ingraziarsi gli altri. Ruffiana, come si dice.
Non c’è molto altro da aggiungere, almeno per ora. Ho neppure vent’anni, e tante curiosità. Mi piace scoprire quello che ho dentro, vivere momenti nuovi, provare, e un po’ mettermi alla prova. È con questo spirito che ho affrontato le esperienze più diverse. Il palcoscenico, ad esempio, recitando in un penoso allestimento della “Bottega dell’antiquario”; o la passerella, sfilando qualche volta come indossatrice. Poi nuoto, vado in palestra e suono con la banda di Monsummano. Il quartino, uno strumento piccolo piccolo che pare un giocattolo.
Naturale: oltre a quelle che cerco, ci sono le cose che mi succedono, come trovarmi a casa di chi mi ha bocciato al mio primo esame per la patente per vedere com’è il suo sito internet, sul quale fra poco sarei finita anch’io. Ma adesso, basta davvero. La mia mitica Saxo verde, temo, non era parcheggiata proprio bene, e non vorrei trovare una multa.
[Contenuto pubblicato per la prima volta su antoniomessina.it il 23/08/1999]