
[Articolo pubblicato per la prima volta il giorno 04/04/2013 nel sito antoniomessina.it]
Ha suscitato critiche più o meno feroci e sensate la proposta del Movimento 5 Stelle di stabilire per legge l’impignorabilità della prima casa. A farmi riflettere sull’argomento mi ha indotto la singolare coincidenza che proprio in questi giorni mi ha fatto leggere (per ennesimo buon suggerimento di mia sorella) Nel mio paese straniero, duro e vivace resoconto autobiografico della vita dello scrittore tedesco Hans Fallada sotto il regime nazista. Scrive Fallada a proposito di un suo padrone di casa economicamente fallito: “È chiaro che in altri tempi i creditori avrebbero sollecitato da un pezzo il sequestro della casa, ma già uno dei precedenti governi … aveva introdotto la cosiddetta salvaguardia dal pignoramento, vale a dire che era lecito eseguire un sequestro soltanto se il debitore dava il proprio assenso, cosa che evidentemente succedeva in casi rarissimi.” (FALLADA, Hans, Nel mio paese straniero, Palermo, Sellerio, 2012, pp. 33).
La proposta del Movimento 5 Stelle, perciò, quanto meno non è nuova (e neppure isolata, dato che Domenico Scilipoti presentò l’anno scorso una proposta di legge sulla “impignorabilità della prima e unica casa”). A prescindere dalla paternità dell’idea e dall’autorevolezza di chi la propone, vediamo che cosa se ne può pensare.
Al pignoramento si arriva per due possibili ragioni:
a) far valere la garanzia fornita (con relativa iscrizione di ipoteca sull’immobile) a chi ha concesso un finanziamento che non è stato rimborsato nelle quantità e nei tempi pattuiti;
b) saldare, in tutto o in parte, un debito non rimesso nei modi stabiliti ricorrendo al patrimonio del debitore (di cui l’immobile rappresenta, a volte, l’unica voce consistente).
Ragioniamo sull’ipotesi a). In vita mia ho acquistato tre “prime case”, ricorrendo ad un mutuo ipotecario tutte e tre le volte. Senza ipoteca sull’immobile, non avendo altri beni da offrire come garanzia, io non avrei ottenuto il finanziamento, la banca non avrebbe riscosso gli interessi, il precedente proprietario non avrebbe venduto l’immobile (almeno, non a me). Con l’ipoteca, io ho avuto un tetto, la banca il suo guadagno e il venditore i soldi che desiderava. Stabilire l’impignorabilità della prima casa avrebbe almeno due effetti ugualmente nefasti: impedire a chi non dispone di consistenti risorse proprie di accedere a finanziamenti dell’importo (normalmente elevato) necessario per acquistare un immobile; incoraggiare comportamenti scorretti in quei debitori che potrebbero pagare quanto devono ma, certi dell’impunità sostanziale derivante dall’impignorabilità, potrebbero valutare positivamente l’ipotesi di sospendere i pagamenti.
Sfuggendo a un’immagine dickensiana della società, occorre notare che i vantaggi dell’impignorabilità si estenderebbero anche a patrimoni maggiori di quelli della famigliola che acquista la prima casa con tanti sacrifici. Anzi, posto che “prima casa” può essere anche un castello con parco, piscine e pertinenze, l’impignorabilità “secca”, cioè senza correttivi di sorta, sarebbe tanto più vantaggiosa quanto più grande è la ricchezza. Una distorsione quasi certa del mercato, poi, sarebbe l’intestazione di tante “prime case” quanti sono i componenti del nucleo familiare, sottraendo una parte consistente del patrimonio alla funzione di garanzia dei creditori.
E dunque? La mia impressione è che, come accade spesso, occorra molta attenzione prima di tradurre in una regola anche la migliore delle intenzioni. Tutelare il bene primario dell’abitazione, soprattutto in favore chi sta soffrendo di più l’attuale crisi economica e sociale, richiede ricette non riducibili a slogan come quello purtroppo contenuto nel programma del Movimento 5 Stelle.