[Articolo pubblicato, con lievi differenze, per la prima volta il giorno 10/07/2013 nel sito antoniomessina.it]
Alle elezioni politiche dello scorso febbraio un quarto degli aventi diritto ha scelto di non votare. Se esistesse un partito degli astensionisti, perciò, attualmente sarebbe la forza più consistente nel panorama politico italiano. Naturalmente è impossibile ricondurre la decisione di non votare di quasi dodici milioni di persone ad un unico denominatore. Ognuno avrà avuto le sue ragioni.
A ridosso delle elezioni mi venne da pensare che l’astensione dal voto (scelta legittima e anche da me lungamente praticata) ha una valenza positiva quando non è astensione dalla partecipazione alla vita della comunità. Non credere a partiti e istituzioni fino a decidere di non partecipare al rito stanco del seggio elettorale, cioè, ha valore culturale e sociale se si contribuisce in altra forma, e poco importa quale, alla “conversazione” e al soddisfacimento dei bisogni presenti nel piccolo o grande ambiente in cui viviamo. Altrimenti si tratta di cose diverse ma tutte ugualmente negative: indifferenza, inerzia, ignoranza.
La modesta riflessione post-elettorale mi è tornata in mente e ha trovato, secondo me, conferme dopo aver partecipato a due eventi culturali in quel di Pesaro, di assai diverse portata e partecipazione: il festival Popsophia e la sesta “Maratona di lettura” organizzata dalla Biblioteca San Giovanni.
Popsophia è un festival che nei cinque giorni della sua durata ha proposto in serie una sorta di talk show filosofico. Nella sua modalità di svolgimento tutto richiamava la televisione e i suoi programmi: le poltrone e il divano collocati sul palco; il megaschermo che ripropone le immagini di chi davanti a te ti sta parlando; il pubblico in posizione di spettatore passivo, separato, chiuso in sé stesso e nella sua isolante attività di ascolto. Stando alla mia esperienza diretta, è perfettamente credibile la notizia che Popsophia abbia richiamato in media circa quattromila persone al giorno.
Popsophia 2013 si è svolta dal 3 al 7 luglio. Il 9 seguente, invece, la Biblioteca San Giovanni di Pesaro organizzava la sua sesta maratona di lettura. La piccola condizione posta ai lettori era che il brano scelto fosse da un libro che avesse avuto una versione cinematografica. Io ho letto da Due sulla strada, di Roddy Doyle. Gli altri undici hanno variato molto: da Susanna Tamaro a Luciano Bianciardi, da Alessandro Manzoni a Dacia Maraini, da Umberto Eco a Michail Bulgakov e così via. Un’occasione piacevole, ma rimane il fatto che abbiamo letto in dodici, e poco più ad ascoltare e basta.
Ovviamente, pur trattandosi di due eventi entrambi di carattere culturale, non è neppure immaginabile una realtà rovesciata, con mille persone a leggere e una dozzina ad ascoltare Marc Augé. Tuttavia rimangono significativi lo straordinario scarto numerico ed il fatto che le persone accorrano in massa dove sono soltanto spettatrici, lasciando a un’esigua pattuglia di appassionati il luogo pubblico della partecipazione.
Insomma, sono tempi difficili e non soltanto per la crisi economica che ci attanaglia. Anzi, proprio questa crisi sta evidenziando come il cosiddetto tessuto sociale sia intriso di passività, all’apparenza privo della capacità di reagire a circostanze alle quali sembra assistere come se non lo riguardassero, seduto sul divano davanti all’ennesimo programma, sempre interrotto dalla pubblicità.
Alle elezioni politiche di febbraio 2013, insomma, si astennero undici milioni di persone, alla maratona di lettura si è astenuta una città. Le due cose non c’entrano fra loro? Per me sì o, quanto meno, sono un segnale leggibile dello stato attuale delle cose. Stato che non è bello ed io, per consolarmi, ricorro ancora alle storie dei miei libri che qualche volta provo a condividere. Della mia prima maratona di lettura alla Biblioteca San Giovanni ci sono tracce in Rete. Non sono quel che si definisce un fine dicitore, ma il testo supera i miei inciampi.
Buon ascolto, e buon futuro.
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