Una spiga ci salverà. L’Italia che cambia vista da Daniel Tarozzi.

[Articolo pubblicato per la prima volta il giorno 29/10/2014 nel sito antoniomessina.it]
Vivendo e curiosando fra le esperienze di cosiddetta “nuova economia”, un lettore abituale quale sono doveva prima o poi incontrare Io faccio così. Viaggio in camper nell’Italia che cambia di Daniel Tarozzi (Milano, Chiarelettere, 2013, pp. 347).
Il libro riferisce di una parte (farlo per tutti avrebbe richiesto troppe pagine) degli incontri che l’autore ha avuto visitando città, paesi e case più o meno isolate alla ricerca di quell’Italia che si muove, innova, collabora e resiste ma non viene raccontata. In un testo del genere la qualità letteraria passa evidentemente in secondo piano e la scrittura si mette al servizio del lungo resoconto che, di pagina in pagina, prova a sintetizzare in poche righe un’idea di vita, un progetto, una battaglia.
Di fronte a un’opera di questo tipo, le chiavi di lettura più facili sono quelle del “c’è un’Italia migliore di quella che ci viene raccontata, “ci sono molte iniziative innovative”, “se si vuole si può cambiare vita” e cose del genere. Si tratta di chiavi esatte che, tuttavia, accantono per esporre qualcuna delle impressioni diverse stimolate dalla lettura.
La prima: fra quelle di cui si riferisce, sono numerose le esperienze che puntano a creare microcomunità “perfette” connotate da relazioni paritarie, condivisione di beni, rapporto rispettoso con la natura che sostiene la sopravvivenza. Ogni comunità ha un’impronta precisa e regole proprie, a volte anche severe. In comune fra loro, mi sembra, hanno una propensione all’isolamento, riuscendo magari a costruire un mondo “perfetto” e autosufficiente ma al prezzo di non confrontarsi con quello imperfetto in cui vive il resto della popolazione.
La seconda: cambiare vita e guardare al futuro sono intenti che, nella pratica, si traducono spesso in un ritorno al passato: svolgimento di attività primarie (agricoltura, ovviamente biologica, e allevamento), ritmi scanditi dalla natura ecc. In questo momento in cui sto scrivendo non riesco a ricordare di aver trovato esempi di cambiamenti legati all’impiego e alla ricerca di nuove tecnologie. Peraltro, accade spesso che ecovillaggi o cooperative sociali abbiano un loro sito Internet.
La terza: nella quasi totalità dei casi, il successo duraturo dell’iniziativa intrapresa è ritenuto possibile a condizione che si riesca a essere parte di una rete collaborativa che può prendere la forma elementare dei rapporti di vicinato ovvero quella più strutturata delle reti di economia sociale (fra le quali si cita la campagna Genuino Clandestino di cui ho parlato nell’articolo precedente a questo).
A queste tre osservazioni, via via che leggevo se ne è affiancata una quarta con sempre maggior forza. Molto spesso, per non dire sempre, anche attività “estreme”, come la creazione di una piccola comunità autosufficiente, sono costrette a entrare in contatto col “mondo”: un finanziamento da ottenere, un attrezzo da procurarsi; un contratto di comodato per l’uso di un immobile; il riconoscimento della propria attività da parte delle istituzioni ecc. In simili circostanze, dunque, anche l’esperienza più isolata è l’ultima fermata di decisioni prese assai lontano.
Anche dalla lettura, a volte entusiasmante, del libro di Tarozzi, quindi, a mio avviso emerge ineludibile il problema della rappresentanza di queste istanze, cioè di un soggetto politico (nel senso più nobile del termine) che riesca a mettersi al loro servizio dando forma giuridica (che non è una bestemmia ma l’organizzazione della convivenza) alla libertà cooperativa dei singoli.

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