
[Articolo pubblicato per la prima volta il giorno 02/11/2014 nel sito antoniomessina.it]
Nel catalogo dei miti di mia sorella c’è l’astronauta russo Jurij Gagarin che per primo volò, il 12 aprile 1961, nello spazio fuori dell’atmosfera terrestre. Addirittura, quando si trattò di decidere un titolo per il suo blog di commenti all’attualità, mia sorella scelse Vedo la Terra blu, cioè alcune delle parole dette da Gagarin durante lo storico volo (“La Terra è blu. Che meraviglia. È incredibile!”). Quando su un banchetto di libri in vendita ho visto l’autobiografia di Gagarin (Non c’è nessun Dio quassù, Roma, 2015, Red Star Press, pp. 186) così, l’ho subito comprato, fregandomi le mani per aver risolto con largo anticipo il problema di almeno uno dei regali di Natale. E invece…
Il problema, temo, è che l’essere umano dimentica con facilità anche le cose peggiori, specialmente se non l’hanno riguardato direttamente. Nel caso specifico ho ingenuamente pensato ad un libro che trasmettesse la conoscenza di un uomo coraggioso, scrupoloso nella preparazione ma pronto ad affrontare rischi e stati d’animo mai sperimentati prima da altri esseri umani. Dimenticavo, però, che un racconto sincero, libero da intenti propagandistici, era qualcosa di impossibile nella Russia del cosiddetto “comunismo reale”. Il libro, infatti, è quel che “doveva” essere: il resoconto di un percorso senza cadute infarcito di passaggi come “Rimasi molte ore a riflettere prima di compilare la mia domanda di adesione al partito. Ero sopraffatto dall’emozione. M’era impossibile di esprimere tutto quello che provavo perché mi sarebbero occorse parecchie pagine”, e poi, una volta ammesso, “L’entrata nel partito era uno dei più grandi avvenimenti della mia vita. La sera stessa ne informavo mio padre … Appena arrivato a casa mostrai la mia tessera … Allora soltanto ne guardai il numero: era lo 08909627”.
Alla fine, l’interesse maggiore del libro è dato da quel che riusciamo a intuire su come andavano le cose nella Russia degli anni ’50. Per esempio, dalle parole di Gagarin (peraltro, a dar retta alla nota introduttiva di Gagarin stesso, messe su carta da un anonimo giornalista della Pravda) si ricava che, nelle pretesa società comunista e senza classi, il corpo sociale era ingabbiato in compartimenti a tenuta così stagna da reggere il confronto con le caste indiane, coi membri del Partito Comunista dell’Unione Sovietica tutti un gradino sopra gli altri.
A dispetto dell’idea suggerita continuamente (nelle parti del libro non dedicate alla corsa verso lo spazio) di una società coesa dove tutti si sentono al proprio posto mentre collaborano alla realizzazione della società comunista, poi, fra le conseguenze della lettura c’è la formazione del convincimento che il cosiddetto “sogno americano” (in base al quale anche un lustrascarpe può diventare miliardario) è una fiaba che in realtà non ha confini e che, comunque, ha una sua versione russa. Già l’attacco del libro basterebbe a confermarlo: “Vengo da una famiglia comune, una famiglia di lavoratori come ce ne sono a milioni nella mia patria socialista. I miei genitori sono due semplici russi ai quali la Rivoluzione d’ottobre ha dato una vita piena e dignitosa”. E nonostante ciò, si lascia intendere, ho potuto diventare quel che sono diventato.
Fatto sta che a lettura ultimata mi sono reso conto che non potevo regalare un libro del genere. Così, la biografia del primo uomo che ha volato nello spazio non occuperà il suo piccolo spazio nella libreria di mia sorella.
Non hanno favorito la piacevolezza della lettura i numerosi errori di stampa presenti nell’edizione che ho avuto fra le mani. Fra questi errori è presente un memorabile “rutti” al posto di “tutti”. vaše zdorov’e! (Alla salute!)