Intervista a Giulio Cristoffanini

Emergency nasce nel 1994 per curare le vittime civili dei conflitti armati. Io venni a sapere della sua esistenza circa quattro anni dopo (in un modo non particolarmente nobile, cioè attraverso il sito della squadra di calcio per cui simpatizzo, l’Inter). E dunque è dal 1998 che mi ronza nella testa una domanda: perché Emergency? Ci sono già la Croce Rossa, Medici Senza Frontiere e tante altre. Perché una nuova organizzazione?

Emergency agisce in completa indipendenza, con criteri suoi non sempre sovrapponibili a quelli di altre organizzazioni. La decisione di fondare l’associazione è progressivamente maturata in Gino Strada, effettivo fondatore, proprio durante la sua collaborazione con altre ONG, sollecitata soprattutto da due aspetti. Il primo riguarda l’impiego del denaro raccolto. Molte ONG (parlo di quelle “buone”, non di quelle truffaldine, che pure esistono) impiegano una percentuale spropositata del denaro raccolto per le proprie spese generali: sedi, stipendi, servizi e così via. Spesso più del 50% del loro budget complessivo. Ne deriva che il donatore finisce per finanziare inconsapevolmente più le organizzazioni stesse che le loro missioni umanitarie. Emergency è nata con la dichiarata intenzione di non impiegare a quei fini più del 10% delle somme raccolte e finora l’impegno è stato ampiamente assolto: dalla fondazione ad oggi le spese generali non hanno mai raggiunto il 6% del totale delle uscite, per precipitare sotto il 4% nel 2001, a causa del forte incremento delle offerte.
Il secondo aspetto ha a che fare direttamente con l’attività dei medici di guerra. Quando la necessità di aiuto è resa più acuta dalla guerra in atto, di norma le ONG ritirano il proprio personale internazionale dal teatro delle “operazioni”. Emergency cerca di rimanere, senza rinunciare a rigidi protocolli di sicurezza che regolano i comportamenti del personale. Proprio un frustrante episodio di questo tipo, vissuto da Gino – lautamente retribuito e completamente inattivo, in missione con la Croce Rossa Internazionale a Sarajevo,- ha determinato l’attuazione del progetto Emergency.

Specialmente negli ultimi mesi, è divenuto riconoscibile il volto di Gino Strada, il fondatore di Emergency e, a giudicare dalla televisione, suo unico componente. In realtà, qual è la vostra attuale consistenza numerica?

Attualmente Emergency impiega 35 collaboratori retribuiti presso la sede di Milano. Il personale internazionale che ruota sulle missioni oscilla tra le 25 e le 30 persone (medici, paramedici, amministratori, logisti). I collaboratori retribuiti reclutati (e addestrati, se del caso) tra la popolazione locale superano le 1600 persone. I volontari, che sono la vera forza di Emergency, sono sicuramente oltre il migliaio, organizzati in più di 100 Gruppi Territoriali disseminati in tutto il Paese.

Meno di un anno fa, se ben ricordo, fece scalpore la decisione di Emergency di rifiutare sovvenzioni dal Governo italiano in quanto quest’ultimo si era reso corresponsabile dei bombardamenti in Afghanistan. Questa decisione è tuttora operativa?

La decisione di rinunciare al contributo statale nel momento in cui il nostro Parlamento votava la partecipazione alla guerra suscitò effettivamente scalpore, ma fu del tutto automatica. Nel suo statuto Emergency dichiara il suo impegno contro ogni guerra e per la promozione di una cultura di pace e solidarietà. Ciò per noi rende incompatibile accettare qualsiasi forma di collaborazione da chi ammette il ricorso alla guerra come strumento di risoluzione dei conflitti e obbligatoria la netta divisione delle responsabilità. Capita, con meno clamore, anche con i privati, quando accompagnano le loro offerte con dichiarazioni che riteniamo non condivisibili.

Chiedo perdono per il cinismo, ma la sensazione è che chi lavora per Emergency non rischia di rimanere disoccupato in tempi brevi. Attualmente in quanti progetti siete impegnati?

Al momento abbiamo attività molteplici in 4 Paesi: Iraq, Cambogia, Afghanistan e Sierra Leone. Gestiamo 6 ospedali e numerose strutture di altro tipo, sanitarie e non. Ma sosteniamo anche programmi sociali, a favore delle vedove di guerra, degli orfani, dei prigionieri. Abbiamo appena firmato (16 dicembre) un protocollo di cooperazione con l’amministrazione sanitaria della città di Medea, in Algeria e progettiamo o abbiamo avviato forti incrementi delle missioni in corso, specialmente in Afghanistan e Sierra Leone. In Iraq, dove finora eravamo presenti solo nel nord, sottratto al controllo dell’amministrazione centrale, dovrebbe finalmente partire un vecchio progetto sanitario a Baghdad o a Bassora.

Come viene selezionato e retribuito il personale di Emergency?

I criteri di selezione sono ovviamente numerosi. Tra i principali citerei la comprensione e la condivisione del programma e della “filosofia” di Emergency, richieste anche al personale reclutato nei paesi di missione. Per il personale internazionale è richiesta una disponibilità ampia (la durata media della missione è di 5 mesi) e la conoscenza dell’inglese, oltre alla specifica e provata competenza, specialmente per il personale sanitario. La retribuzione è assolutamente decorosa e proporzionata alla esperienza internazionale, ma probabilmente un po’ sotto la media di mercato. Il quadro normativo è quello del Contratto di Collaborazione Coordinata e Continuativa.

La questione dei finanziamenti, alla quale si accennava prima, mi suggerisce un’altra domanda. Pur ammettendo che un intervento transitorio è meglio di nessun intervento, la possibilità di dare continuità a un progetto è un criterio adottato per decidere se avviare o meno il progetto stesso?

Dipende dal tipo di progetto. Abbiamo sostenuto anche progetti brevi e circoscritti (es. in Etiopia, team chirurgico per 3 mesi in collaborazione con la Cooperazione Italiana), e tuttora abbiamo in corso progetti di cui è già previsto un termine temporale (es. Cambogia, dove il paese è pacificato e prevedibilmente in grado di sostenere autonomamente un progetto ben avviato).

Ho avuto l’impressione che da alcuni mesi a questa parte Emergency, oltre al camice del chirurgo, abbia indossato i panni del “politico” (in senso buono, naturalmente). Dalla campagna “uno straccio di pace” alla partecipazione di Gino Strada alla manifestazione di piazza San Giovanni del 14 settembre (coi cosiddetti “girotondisti”), all’appello contro la guerra in Iraq. E’ un’impressione esatta? E se sì, a che cosa è dovuto questo maggior impegno nella società civile italiana?

In realtà Emergency ha sempre rivendicato un ruolo politico: ha fatto e fa attività umanitaria rifiutando di farlo in silenzio, si oppone alla guerra in linea di principio, ma anche alle specifiche guerre che vengono effettivamente combattute, difende concretamente quello che è fondamentale tra i diritti, il diritto alla vita, però allarga “naturalmente” il proprio impegno alla difesa di tutti i diritti. Ma ammette unicamente quella politica che mantiene al centro dei propri valori l’uomo e la sua dignità. L’uomo come fine ultimo, mai subordinabile ad altri fini che si pretendono e non possono essere “superiori”. Poco o nulla a che fare con la politica come viene comunemente intesa, quella degli schieramenti e dei partiti. Quello che è venuto modificandosi nel tempo credo sia solo la visibilità dell’associazione e con essa l’efficacia del messaggio.

A proposito dell’appello contro la guerra. Tempo fa, un mio amico cattolico praticante mi ha spedito la copia di un appello di Pax Christi che, salvo alcuni riferimenti “interni” alla chiesa, nella sostanza è simile a quello di Emergency: condanna della violenza sui civili, denuncia delle vere ragioni della eventuale guerra contro l’Iraq, richiesta di rispettare l’art. 11 della Costituzione italiana. Non esistono canali di comunicazione? Possibile che ogni associazione debba farsi il suo appello privato?

Sarebbe certamente stato meglio unificare gli appelli, tanto più che il nostro era promosso anche da Lilliput, Libera e Tavola della Pace, di cui Pax Christi fa parte. Nessuna polemica però, credo proprio che si sia trattato di un problema di comunicazione.

Gino Strada è anche l’autore di un libro, “Pappagalli verdi”, che mi ha colpito sia per ciò che vi è narrato sia per il tono, sempre partecipe e sempre misurato. Gli episodi importanti non si contano. In uno, due ex rivali nella guerra civile a Gibuti, entrambi curati da Emergency, superano l’odio e diventano amici. Questo tipo di “successi” quanto è frequente? E, se è possibile stabilirlo, quanti dopo le cure riprendono magari a combattere?

Episodi come quello cui alludi non sono frequentissimi, ma accadono e più volte ne siamo stati testimoni. Il programma di sostegno ai prigionieri che conduciamo in Afghanistan è realizzabile solo con la collaborazione dei carcerieri e certamente è orientato a promuovere il rispetto tra le parti in conflitto e la difficile ricostruzione dei rapporti tra le persone, che la guerra inevitabilmente distrugge.

Un altro conflitto che ha occupato tutto lo spazio dell’informazione è stato quello nella ex Jugoslavia. In “Pappagalli verdi” si racconta di una cecchina che giustifica l’uccisione di un bambino di 6 anni dicendo che fra venti ne avrebbe avuti ventisei. Emergency è ancora presente nella ex Jugoslavia?

Gino ha lavorato in Jugoslavia prima della nascita di Emergency. Durante quella guerra una nostra offerta di intervento in Bosnia è stata cortesemente declinata: ci hanno detto che trovavano incongruo accettare un aiuto proveniente dallo stesso paese che li stava bombardando.

Dopo la cacciata dei talebani, il governo italiano ha dichiarato che avrebbe aiutato l’Afghanistan ad allestire la nuova rete televisiva. Emergency intravede altre priorità?

Certo! Prima di una rete televisiva sarebbe necessario organizzare la concessionaria per la pubblicità. Triste ironia a parte, l’Afghanistan è un paese poverissimo, devastato da 25 anni di guerra: se provassimo a esportarvi reali possibilità di sviluppo, magari trascurando il nostro diretto e immediato interesse?

[Contenuto pubblicato per la prima volta su antoniomessina.it il 25/12/2012]

Questa voce è stata pubblicata in Società e vita politica e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.