Intervista a Ilaria Damiani

A quel che mi hai raccontato, scrivi anche tu da molto tempo, ma finora non avevi mai provato a far circolare i tuoi lavori. Che cosa ti ha spinto, o incoraggiato, a farlo adesso?

Potrei risponderti la mancanza di materiale in grado di essere letto, oppure la consapevolezza che i miei sono dei lavori introspettivi e, forse, poco comprensibili, o, ancora, la mancanza di contatti stimolanti da questo punto di vista … ma la conoscenza e le lunghe chiacchierate via cavo, tra un dribbling ed il comune destino di far finire i gol del sofferto pareggio sul palo, di un certo Antonio Messina, mi hanno ridonato un po’ di vigore artistico. Il resto è storia di oggi.

Parlare di calcetto mi fa venire in mente la palla, anzi le due che mi fa venire Baricco. E dai che scherzo! Comunque: vuoi spiegare che cosa ti appassiona nella sua scrittura?

La prima volta che lessi Baricco feci fatica a interpretare il suo modo di vedere le cose e, per conseguenza, di scrivere. L’unica cosa che mi fece continuare oltre le trenta pagine di Oceano mare fu che lo avevo visto in TV e mi aveva sedotto. E’ stato un amore a prima vista ed amare i suoi testi una cosa naturalissima. Novecento, che è l’opera tradotta in film da Tornatore, è un libriccino che si legge in poco più di un’ora, ma, ti assicuro, ci vuole una vita per dimenticarlo.

Quando parli della tua scrittura, insisti sempre sul fatto che è prima di tutto destinata a te stessa, che è introspettiva. In uno dei due pezzi tuoi che preferisco (e che appare nel mio sito, grazie) affermi perfino che l’unica estimatrice di Ilaria è Ilaria stessa. Il buffo, dal mio punto di vista, è che lo affermi proprio in un brano che tratta di un problema che hanno tanti di noi “aspiranti scrittori”, cioé la paura che prende quando sembra di non aver più idee. È esatta questa mia lettura? Non pensi che, in realtà, quanto più parli di te, tanto più riesci a parlare agli altri? E scusa per la lunghezza della domanda.

Domanda elaborata. Crisi per chi risponde. Riflessione.
La paura c’è, senza dubbio ed ogni volta che apro un libro dei miei autori preferiti non fa che aumentare. Credo che gli scritti migliori abbiano sempre da arrivare. Poi ripenso ad alcune righe di Hermann Hesse, il quale, una volta terminato un lavoro e ripensando a quelli antecedenti, si stringeva nelle spalle e si chiedeva come quelle cose potesse averle scritte lui. Andava migliorando, si diceva ed ogni volta si riconosceva un pochino meno. Ecco, io spero di fare come lui, solo che nel tragitto mi assalgono una serie infinita di dubbi ed incertezze, rendendo tutto tremendamente più difficile.
Comunicare di per sé trovo che sia un’impresa ardua e il saperlo fare bene ancora di più. Se, con le cose che scrivo, riesco a toccare qualcuno nel suo profondo e provocargli una benchè minima reazione, beh, allora credo di essere sulla via giusta.

Chiesero a Miguel Dominguin: “Perché uno decide di fare il torero”? Rispose: “Perché non sa fare altro”. Chiesero a Jonathan Coe (“La famiglia Winshaw”): “Perché lei scrive”? Rispose: “Perché sto male se non scrivo”. E tu? Perché hai deciso di scrivere?

Io non ho deciso di scrivere. Ci sono cose che ti trovi dentro senza sapere da dove abbiano origine, ma, non per questa loro natura, le coltivi con meno amore e dedizione di altre. Diciamo che la scrittura è la mia figlia prediletta alla quale guardo con occhio benevolo e riesco a perdonare tutto. Potrei stare qui ad ore a parlarti di questo mio amore, ma non porterebbe a niente. Ho quaderni pieni di sfoghi di un’adolescente sempre alla ricerca di punti fermi ed ho quaderni di una ragazza, un po’ più matura di allora, che sta ancora cercando. Sono giunta a questa conclusione: scrivere è la mia linfa vitale.

“Io non ho deciso di scrivere” è una risposta bellissima e, ancora una volta, appartiene un po’ a noi tutti. Direi proprio che non potremmo concludere in modo migliore con l’intervista “letteraria”, consentendoci finalmente di passare alle cose serie: mercoledì ci sei all’allenamento?

Dopo la prestazione di sabato come potrei mancare. A proposito, non hai da farmi i complimenti? Uno più o uno meno cosa vuoi che conti?

Per quel passaggio smarcante agli avversari sul 3 a 2 per voi a un minuto dalla fine, vuoi dire? Complimenti … da parte degli avversari, certo. Quanto a noi due: non ricordo più se l’ultima volta ti ho fatto due o tre tunnel …

Lo hai detto tu stesso: “Non ricordo più. Si vede che mi hai confuso con qualcun altro. E, devo ammetterlo, è veramente difficile.

[Contenuto pubblicato per la prima volta su antoniomessina.it il 25/03/1999]

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