Intervista a Angela Messina

Di un romanzo, di solito, la prima cosa da raccontare è la trama.

Per l’aperitivo racconta di Chiara, una donna quarantenne, moderna, spavalda e tenacemente convinta della sua condizione di single, il che non contraddice il suo innamorarsi di Alessandro. La personalità di Chiara registra la contemporanea presenza di un lato sentimentale e di uno più severo (risolto attraverso l’alter ego di Chiara-sulla-libreria), che prevalgono a turno. Il percorso che ne deriva vede Chiara agire, e reagire, per difendere la propria capacità di essere solitaria e cioè, in primo luogo, di assumere in prima persona la responsabilità delle sue scelte.

Leggendo il libro, peraltro, si ha la sensazione che la “storia” raccontata sia un elemento, in fondo, secondario rispetto alla descrizione di una condizione dell’anima.

Quel che ho cercato di descrivere è una strada femminile per uscire da schemi e modelli ancora forti, per emanciparsi dalla schiavitù dei tradizionali comportamenti affettivi ed intellettuali. Francamente, il problema di raccontare una storia, di creare un plot, non mi preoccupa affatto. Anche il prossimo lavoro sarà certamente meno complesso di Cent’anni di solitudine, e tuttavia penso si leggerà d’un fiato, come tutti – mi dicono – leggono d’un fiato Per l’aperitivo: probabilmente perché le donne in questo momento hanno interesse a capire più che a fare. Io la penso così, e sento il bisogno di scrivere secondo questa convinzione.

Come presenteresti il libro in poche parole?

Secondo me, la storia di Chiara è il diario di una donna a cui succedono delle cose (non meno cose che a Bridget Jones o a Cenerentola), tuttavia il libro parla soprattutto del rapporto con se stesse, tutto è visto “in soggettiva”; ma la novità è che, nonostante ciò, questo non è un libro intimista. Nello stesso tempo molti pensano che in questo libro “c’è anche troppa roba”, quindi forse la sensazione di “poca trama” dipende proprio dallo stile che ho scelto.

A pagina 25 chiedono a Chiara se davvero sta bene senza un fidanzato e lei risponde: “Io non sono sola, sono un tipo solitario, è diverso”. Perché la generalità delle persone sembra avere tanta difficoltà a comprendere che anche soli si può essere sereni?

Io sono la prima a non credere e a non voler teorizzare una “serena condizione di vita da soli”; per questo ho voluto che Chiara, single convinta, avesse una storia d’amore, per quanto sgangherata. Ciò che è difficile, difficilissimo, è avere un profondo dialogo con se stessi, che permette di farsi compagnia quando da soli, per cause di forza maggiore, ci si ritrova. Ma che ci deve sempre essere, anche quando si è accoppiati, sposati, con figli. E comunque Chiara non è sola, è, come dice lei stessa, solitaria: cosa diversa.

Il riassunto dell’incapacità di comprendere la dimensione autonoma della protagonista lo troviamo nel personaggio di Alessandro, individuo che si aggiunge alla lunga teoria di uomini (letterari e cinematografici) relativamente meschini, abbastanza egoisti, assai inconcludenti e, alla fin fine, francamente insopportabili.

Tutti gli uomini che hanno letto il libro dicono che questo Alessandro è una schifezza. Tutte le donne dicono che è un personaggio azzeccatissimo, certamente indeciso e presuntuoso ma anche affascinante. Chiara ne è innamorata, è dalla sua parte, lo difende, anche se alla fine non vuole sposarsi.

Sebbene un personaggio così precisamente incapace di comprendere Chiara svolga bene il suo compito rispetto all’idea di fondo del romanzo, non pensi di aver reso un’immagine di Alessandro troppo compatta nella sua insulsaggine e, perciò, meno credibile di Chiara? Insomma, non ti sembra di aver fatto un po’ troppo il tifo per la tua protagonista?

Io non faccio assolutamente il tifo per Chiara: il problema è che gli uomini di cui ci innamoriamo sono così…

Ti ringrazio a nome della categoria.

… anche se loro pensano di essere molto diversi da Alessandro.

Cambiamo argomento. Per l’aperitivo offre ampio spazio a discipline quali la danza e il nuoto, alla pratica della lettura, alla tua personale passione per le metropoli. Si tratta di pagine dotate di autonomia propria e, a dirla tutta, sono quelle che ho preferito.

Ormai è assodato: il capitolo sul nuoto è quello che piace di più, piace moltissimo.

Dal punto di vista tecnico, il dettaglio che salta all’occhio è l’uso delle note a fine capitolo, davvero insolito in un romanzo. Sei soddisfatta dell’esito letterario di questa scelta? Pensi di ripeterla?

L’uso delle note è stato un rischio calcolato, perché possono rallentare o disturbare la lettura. Per fortuna nessuno mi ha detto questo. Io non avrei mai potuto rinunciarvi in quanto questo esercizio tecnico mi ha permesso di creare le basi per lo stile che adotterò nel prossimo romanzo. Non più note quindi, ma un’altra scelta tecnica per me molto interessante.

Di pagina in pagina, la protagonista ci informa con dovizia (anche in modo divertente, come nel caso delle pagine sui posti “in capo al mondo” dove sarebbe disposta a seguire l’uomo della sua vita) su che cosa le piace e che cosa non le piace, su che cosa trova giusto e cosa no. Agli antipodi di Alessandro, Chiara non vacilla mai.

Curioso vedere in un personaggio che alla fine del libro attraversa una profonda crisi esistenziale un personaggio “che non vacilla mai”. Chiara è un personaggio con molti dubbi, titubanze, incertezze, litiga con se stessa, si prende in giro; è quanto di meno monolitico esista.

Forse è più esatto dire che vacilla intorno ad alcune certezze?

Vacilla, vacilla; ma alla fine può contare su se stessa. Il “passo a due” dell’ultimo capitolo non è, come nella danza, l’espressione dell’amore romantico con il principe azzurro, è la testimonianza che il suo alter ego le è vicino.

La mia “Seconda legge sulla scrittura” afferma che “ci si siede per scrivere come si vuole, e ci si alza avendo scritto come si sa”. Tu di mestiere fai la giornalista: quanto ti ha condizionato il tuo modo di scrivere abituale?

Lo stile di questo libro non ha niente a che vedere con lo stile giornalistico, neppure per contrapposizione. Io ho cercato di distaccarmi da uno stile letterario e di avvicinarmi a uno diretto, colloquiale, sempre all’interno di una ricerca sullo stile narrativo. A quanto pare ci sono riuscita: leggendo accanitamente negli ultimi cinque anni letteratura anglosassone con questo preciso scopo.

Una scelta che non sempre mi ha convinto è l’altissimo numero di citazioni. Anche se scampa con sicurezza, a parer mio, alla possibile critica di essere pedante, può sembrare che Chiara viva ogni sua sensazione (o certezza) attraverso il filtro costante del pensiero altrui.

Più un lettore è colto meno ha amato le citazioni. Sono contenta del mio amico R. che si è comprato Lodoli perché l’ho citato io; della mia amica L. che ha comprato Emicrania per come ne ho scritto: mi pare che questo dica tutto … Chiara ama leggere e lo esterna (anche questo rivela una sua sottile insicurezza, il bisogno che gli altri capiscano e condividano il suo pensiero: come vedi vacilla …).

Per l’aperitivo è il primo romanzo che pubblichi ma non è il primo che scrivi. Che differenze trovi fra i tuoi primi tentativi e questo lavoro pubblicato da Mazzanti?

Il primo romanzo che ho scritto era bello, ambizioso, l’ho amato; ma ero prigioniera di uno stile manzoniano (così ti insegnano a scrivere) che non poteva funzionare. Era una serie di esercizi di danza alla sbarra perfettamente eseguiti. Per l’aperitivo è già una piccola coreografia liberatoria che viene da una mia (solo mia) voce interiore. Non a caso la danza mi ha molto aiutato a liberare la scrittura: come è successo a Paul Auster, che cito all’inizio del libro.

Nel futuro della tua scrittura avremo ancora Chiara?

Per l’aperitivo è il primo volume di una trilogia. Nel prossimo non ci sarà più Chiara, ci sarà Lucilla, una vera peste!!

[Contenuto pubblicato per la prima volta su antoniomessina.it il 16/11/2002]

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