Hyakutake, Hale-Bopp, l’eclissi dell’11 agosto … A volte l’astronomia balza agli onori della cronaca. Per lei, invece, è una passione vera. A quando risale il suo interesse per stelle e pianeti?
Ho cominciato ad interessarmi di astronomia pochi anni fa, in età adulta, perché ho scoperto che attraverso l’astronomia si toccano tanti campi del sapere: innanzi tutto quello più prettamente scientifico dal quale, per le vicende della mia vita, sono rimasto a lungo estraneo. E’ curioso che, insieme all’astronomia, è cominciato anche il mio interesse per l’informatica. Come è iniziato? Semplice: guardando una fotografia di Saturno fatta da mio suocero, un astrofilo tedesco. Forse inconsapevolmente pensavo che fotografie dettagliate di pianeti, ammassi, galassie ecc. si facessero soltanto con potentissimi mezzi in uso negli osservatori dei professionisti, e invece mi resi conto che una semplice macchinetta fotografica avvitata al fuoco di un “telescopietto” era in grado di mostrare dettagli impensabili di oggetti così lontani. Si fece allora strada una seconda riflessione di carattere “filosofico”: guardando il cielo notturno, tanto più si riesce ad andare lontano, tanto più si va indietro nel tempo. Infatti, chi ci dice che tale stella, lontana 15, 20, 30 anni luce, esista ancora nel momento in cui la vediamo? Se esplodesse ora una stella distante 30 anni luce, noi ce ne accorgeremmo fra 30 anni.
Il che può condurre a pensieri sempre più “grandi”.
Dalla filosofia alla metafisica il passo è breve e, con un po’ di fantasia, rincorrendo le enormi distanze dell’universo, si potrebbe arrivare perfino a vedere il Big Bang. E allora i pensieri si intrecciano e coinvolgono anche l’aspetto religioso della nostra esistenza. Mettono seriamente in discussione la presenza di Dio, di un Dio, e le domande sul nostro divenire si moltiplicano.
E scommetterei, a questo punto, che c’è anche dell’altro.
Gli altri aspetti direttamente in relazione con la passione per il cielo sono di ordine più squisitamente culturale: storico e letterario. Gli stessi nomi dei pianeti ci ricollegano all’antichità classica, così come i nomi delle costellazioni più conosciute: Andromeda, Perseo, Pegaso, Ercole ecc. Infine, (ma solo per cercare di sintetizzare al massimo) tale passione ci consente di avere maggiore consapevolezza del nostro “stare” sulla Terra: quanti di noi si rendono veramente conto di “girare” continuamente, di andare a spasso nell’universo? Si potrebbe poi toccare l’aspetto dell’ecologia, quello dell’astrologia, della superstizione, ma il discorso rischierebbe di diventare troppo lungo.
Beh, ad accorciarlo ci pensa lo scarso interesse generale, mi sembra.
Riguardo all’interesse dell’opinione pubblica, questa si accende solo quando ci sono eventi macroscopici. Ma è utile sapere che tutte le notti, nell’universo, avviene qualcosa. Questa notte, per esempio, (l’intervista è stata realizzata alla fine di agosto 1999, N. d. R) con un semplice binocolo si può vedere una cometa simile ad Hale-Bopp. Solo che non si vede ad occhio nudo, dunque non fa notizia.
La prima cosa che scoraggia a diventare astrofilo è che … bisogna perdere delle ore di sonno. Ci sono altri inconvenienti? Ad esempio: si può coltivare questa passione impegnando poche risorse economiche?
Per le ore di sonno perse, si può dire ben poco. C’è chi è disposto ad usarle pensando che non siano perdute, anzi; c’è chi invece preferisce il dolce tepore delle coperte. Inutile, a questo proposito, ricordare il vecchio detto “chi dorme …”. Per la questione economica, credo che oggi si tratti solo di scelta. Il prezzo di una strumentazione soddisfacente oscilla dai 2 ai 4 milioni. Certo, si potrebbe spendere molto di più, ma la seconda cifra indicata è abbondantemente sufficiente per dare tutte le soddisfazioni da rincorrere nell’arco di un’intera vita. C’è chi gira in Ferrari e chi in Cinquecento ma, se funzionano, tutte e due ci portano a Roma.
L’immagine dell’astrofilo è, spesso, quella di un individuo che si estranea dal mondo che lo circonda, più disposto ad avere la testa fra le nuvole (meglio: sopra le nuvole) che ad interessarsi dei suoi simili.
Niente di più sbagliato. L’astrofilo è, al contrario, qualcuno che ha i piedi ben piantati per terra, e con essa gira, cosciente di girare.
L’eclissi recente è stato quasi un avvenimento mondano. Fra i fenomeni meno rari, osservabili nell’arco dell’anno, da quali si sente particolarmente affascinato?
Questa domanda ha senso solo perché abbiamo perduto completamente l’abitudine di alzare gli occhi al cielo (sia di giorno che di notte). Fino al secolo scorso la maggior parte degli avvenimenti della vita dei popoli era regolata dall’avvicendarsi degli astri nel cielo. I periodi di semina, di raccolto, il caldo, il freddo, le ricorrenze, gli anniversari, tutto veniva annunciato dalle stelle. Poi è arrivata la corrente elettrica che ci fa vivere come se la notte non esistesse più. Ben venga la corrente elettrica, intendiamoci, non sono contro il progresso, al contrario. Ma come tutto nella vita, bisognerebbe imparare a dosare, ad usare ciò di cui abbiamo bisogno. Uno dei fenomeni che si verificano con una certa frequenza e che si può osservare agevolmente senza nessuno strumento sono le eclissi di luna. Ce ne sono tante, ma spesso avvengono alle 2 di notte, e nessuno se ne accorge, e la televisione non lo dice. (La prossima ci sarà la notte tra il 20 e il 21 gennaio 2000, verso le 4 di notte e durerà fino all’alba). Oggi ben poche persone sanno che d’estate è visibile la via lattea, quella fascia luminosa che avvolge la volta celeste e che è formata da miliardi di stelle e che è la parte finale di un braccio della galassia alla quale apparteniamo. Un altro fenomeno spettacolare è l’occultazione di stelle e pianeti da parte della Luna. E mi sono limitato a citare solo ciò che si vede ad occhio nudo.
La mia recente passione per la vela mi ha fatto spesso pensare ai marinai dell’antichità, che regolavano la loro rotta seguendo le stelle.
Anche la vela, come l’astronomia, mette la gente a diretto contatto con la natura. A questa domanda ho in parte risposto precedentemente. Vorrei aggiungere che anche io sono molto affascinato dai viaggi in barca a vela, che conosco gente che ha ripercorso la rotta di Colombo e che si vive un sentimento molto strano stando in mezzo al mare con un “legnetto” (termine usato da Boccaccio quando parlava delle navi): da un lato si ha l’impressione di dominare la natura; dall’altro si ha l’impressione che in qualsiasi momento questa ci può schiacciare. E l’unica certezza veniva (e viene) dal cielo stellato.
L’occasione per fare conoscenza ci fu data non dalle stelle, ma dallo spagnolo. Qual è l’aspetto di questa lingua che la affascina di più?
Il primo impatto con lo spagnolo è sicuramente rassicurante. Pur non capendo nulla si ha l’impressione di capire tutto. Questo è ciò che mi affascina di più di tale lingua. Poi, se si ha occasione di frequentare gente spagnola o, ancor meglio, di vivere per un periodo in Spagna, allora ci si accorge che il castigliano è un misto di sostrati arabi e latini, due culture sicuramente a confronto, spesso nemiche, ma che hanno dato tantissimo allo sviluppo dell’umanità.
Un professore che ebbi all’Università, diceva che per un italiano “lo spagnolo è la lingua più facile da imparare male”.
Verissimo. Io stesso, insegnante di spagnolo, mi rendo conto di avere tante interferenze e ciò è dovuto alla prossimità fonetica delle due lingue. Con il francese succederebbe pressappoco lo stesso ma le interferenze sono minori, dovuto alla diversità fonetica. Se prendiamo una frase banale: “la primavera viene cantando”, ebbene questa stessa orazione può essere sia italiana che spagnola, e si pronuncia allo stesso modo (meno la “v” di “viene” che in spagnolo non è labiodentale). Ecco, queste straordinarie somiglianze danno a chi apprende un senso di rilassatezza che alla fine ostacola il corretto apprendimento dell’idioma.
L’insegnamento delle lingue è la sua professione. Fra i tanti che la affliggono, quale ritiene essere il problema più grave della scuola in genere, e dell’insegnamento delle lingue in particolare?
Il male più grande della scuola italiana è che noi italiani non sappiamo distaccarci dalla mentalità umanistica che per secoli è stata imperante nella nostra penisola. Noi riteniamo colta una persona che sa tutto dei classici, che sa chi era Giove, che cita a memoria la Divina Commedia, che elenca le opere di Pirandello. Poco importa, poi, se quella persona non ha idea di cosa sia un impianto idraulico, se per cambiare una lampadina chiama l’elettricista o se, forata una gomma, non sa nemmeno dove si trova il cric.
Altro male della scuola è quello di avere dei programmi che privilegiano l’astratto nei confronti del concreto, dunque è bravo chi, di una frase, sa riconoscere un dativo, meno bravo è quello che una lingua la sa parlare.
Terzo male della scuola è che ancora non si è capito che si lavora in una scuola di massa e che forse contenuti e metodi dovrebbero cambiare in funzione di questa trasformazione. E smetto qui perché il discorso non avrebbe mai fine.
Il caso ha voluto che facessimo conoscenza a ridosso dell’intervento “militare umanitario” in Kossovo. Entrambi eravamo schierati contro. I suoi motivi quali erano?
Da una decina di anni a questa parte anche l’Italia è interessata dal fenomeno dell’immigrazione, dalla presenza dei cosiddetti “extracomunitari”. Ebbene, immaginiamo che in Sicilia si insedi un cospicuo nucleo di albanesi e che, con il tasso di natalità che diminuisce continuamente, da qui a 300 anni questa comunità diventi maggioranza etnica nell’isola e che chieda l’indipendenza. Cosa farebbe il governo italiano? E se ci fosse una “Nato” che desse una mano agli albanesi? Altro paragone lo si potrebbe fare con la “Padania”. Detto questo, io sono contro la guerra, non credo che ci possa essere una guerra giusta.
Ultima domanda. Le foto che ha scelto di mostrare a visitatori del mio sito sono semplicemente le più belle, o hanno anche un significato particolare?
Fotografare gli oggetti del cielo è bello, per me, soprattutto perché la fotografia ci permette di vedere ciò che non riusciremmo a percepire ad occhio nudo. Un pianeta lo vediamo, ad occhio nudo, come se fosse una stella brillante. Basta un secondo di posa con un ingrandimento adeguato per mettere in risalto gli anelli di Saturno o le bande equatoriali di Giove. L’astrofotografia è semplicemente fantastica.
Due delle foto che mostro ai visitatori del sito (la “polare ruotante” e uno scorcio della via lattea) sono state scelte in base a ciò che chiunque riuscirebbe a fare con una semplice macchinetta fotografica (provvista di posizione B), un cavalletto, un flessibile e un bel cielo non inquinato. Per fare la foto alla via lattea basta puntare la porzione di cielo interessata, spingere il flessibile, e contare fino a 15-20. Con un obiettivo da 50 mm il mosso non si nota fino a circa 25 secondi. La foto inviata è volutamente un po’ mossa per far risaltare la “nuvola” di stelle. Il posto in cui è stata scattata è la Sardegna.
Per la polare, ancora più semplice. Si inquadra la stella polare (se si può si mette qualcosa in primo piano) si blocca il flessibile e si lascia in esposizione. Più resta esposta, più le stelle “girano” (in realtà è la Terra a girare). In condizioni ottimali si può lasciare l’esposizione per circa 7 ore. La mia foto è rimasta solo 15 minuti (sempre in Sardegna).
Le altre quattro foto rappresentano per me i primi risultati soddisfacenti dopo un’infinità di prove infruttuose. Rappresentano anche ore ed ore di veglia (sonno non perso), di freddo, di ansia, di rabbia, di trepidazione, ma alla fine di un’enorme soddisfazione.
Né galassie né nebulose si vedono ad occhio nudo; bisogna imparare a cercarle con le coordinate celesti; poi occorre fare una messa a fuoco precisa ed infine occorre posare per 30, 40 minuti, rincorrendo il cielo. Il risultato dà una doppia soddisfazione: quella di mostrare qualcosa che esiste a miliardi di chilometri da noi e quella di appagare il nostro senso estetico.
[Contenuto pubblicato per la prima volta su antoniomessina.it il 4/9/1999]