Non ci resta che piangere

[In forma leggermente diversa, questo articolo apparve per la prima volta il giorno 08/01/2013 nel sito antoniomessina.it]†

Non ci resta che piangere è il film (del 1984 scritto, diretto e interpretato da Roberto Benigni e Massimo Troisi) con la famosa e spassosissima scena della dogana. Nell’arco di pochi minuti, per necessità o per caso, i due protagonisti si trovano a dover fare più volte avanti e indietro proprio in corrispondenza del posto doganale e l’esattore, che ripete come un pappagallo sempre le stesse domande senza curarsi di chi ha davanti, ogni volta li ferma e chiede il versamento della tassa di passaggio. L’ambientazione del film è medievale, quando realmente innumerevoli confini racchiudevano come bachi nel bozzolo stati, feudi e staterelli che affollavano la penisola italiana. Oggi, invece, siamo ai tempi del Web, della rete informatica mondiale, del mondo globalizzato. Un clic su Twitter ed un istante dopo tutto il pianeta Terra, se non ha altro da fare, apprende che hai appena fatto la pipì.
Ma le barriere, uscite dalla porta, stanno rientrando dalla finestra e in un modo anche più invasivo di prima. È vero che non è più necessario recarsi di qua e di là per avere un’informazione o per pagare una bolletta. È altrettanto vero, però, che per avere la stessa informazione, o pagare la medesima bolletta, si deve accedere alla rete Internet e digitare “nome utente” e password.
Nei giorni scorsi ho riordinato l’elenco dei nomi utente e password che devo utilizzare a casa e sul lavoro. Ho una vita abbastanza ordinaria: il lavoro, qualche obbligo sociale, qualche interesse personale. A volte mi sono avventurato negli acquisti online. Ebbene, alla fine della mia ricognizione ho constatato che per pagare le bollette, accedere al conto in banca, controllare la carta di credito, acquistare i biglietti ferroviari, gestire questo sito Internet, controllare la posta elettronica e qualcos’altro, più accedere alle diverse applicazioni che devo utilizzare per lavoro, alla data del 7 gennaio 2013 contavo la bellezza di 81 nomi utenti e relative password. Ciò significa che se per caso dovessi utilizzare tutte le applicazioni e i siti nei quali sono registrato, nella giornata dovrei inserire 162 “stringhe” di caratteri.
Le stringhe, va da sé, non sono quasi mai identiche. Chi chiede che la password sia di almeno sei caratteri, chi di almeno otto, chi vuole che ci siano lettere e cifre, chi ammette i caratteri speciali e chi no. Questa torta ha pure due ciliegine: la prima sono i siti che ti obbligano a cambiare la password ogni tot di tempo; la seconda sono le applicazioni che ti scollegano se non invii alcun comando in un lasso di tempo stabilito. Non si finisce mai.
Insomma, la vita 2.0 è avvolta da mille doganieri che a ogni passo ci chiedono un fiorino. Rispetto al Medioevo c’è il vantaggio che i doganieri sono tutti radunati nello schermo del nostro computer, a pochi centimetri da noi. Nonostante questo, guardando la mia lista di nomi utente e password, anche a me è venuto da dire: non ci resta che piangere.

Un fiorino!
Pubblicato in Vivere oggi | Commenti disabilitati su Non ci resta che piangere

Il ciclismo

La mia “storica” bicicletta marca Legnano. Purtroppo mi fu rubata.

Il ciclismo è uno sport di fatica.
Il ciclismo, fra gli sport di fatica, è di quelli che invoglia ai toni epici. Fughe solitarie, salite impossibili, scatti fulminei, la disciplina ascetica degli specialisti nelle gare a cronometro… E questa varietà tutta all’aperto, col sole che picchia, sferzati dal vento, sotto scrosci d’acqua gelida…
La fatica del ciclismo è solitaria anche quando si è in gruppo e ci si aiuta, perché a spingere sui pedali ci sono solo due gambe, sempre le stesse, sempre le tue. Perciò anche l’ultimo arrivato riscuote il suo applauso. Anche lui ha lottato ed è arrivato in fondo.
Il ciclismo è fatto di gare che si svolgono lungo un percorso, anzi due: uno che si vede e l’altro che no. Anche il percorso che non si vede si snoda fra partenza e arrivo, ma è interiore, profondo, nascosto agli altri quasi per intero dalla monotonia del gesto atletico. Soltanto certi volti stravolti, a volte, denunciano la volontà ferrea di arrivare o, chi può dirlo?, un tale stordimento da fatica che non si aveva neppure la forza di smettere di pedalare.
Il ciclismo è fatto di milioni di pedalate. Nella monotonia di quel gesto, io credo, risiede la ragione di un ciclismo sport di leggende scritte e orali, ma poco adatto al cinema. Per quest’ultimo, meglio, assai meglio i dualismi esasperati del pugilato o di frazioni precise di certi sport di squadra, si tratti del touch down del football americano, del fuori campo nel baseball o del tiro da fermo nel gioco del calcio. Il cinema è duello evidente, non immersione silenziosa nelle proprie fibre fisiche e mentali, alla ricerca di quell’ultima stilla di energia che ti farà arrivare.
Il ciclismo è uno sport al quale mi sono appassionato fin da piccolo. Per le origini di questo mio interesse sospetto fortemente di mio padre, classe 1914, qualche trascorso da corridore amatoriale e, da giovane, la bici per incombenze che oggi strabiliano, come andare da Vizzini a Catania (130 km andata e ritorno, con le strade come potevano essere a metà anni Trenta) per comprare un po’ di chiodi che occorrevano al fratello sellaio. Tanti chilometri percorsi in gioventù garantirono a mio padre anche il diritto di trasmettermi, oltre alla passione, il suo punto di vista sulla faccenda nel suo insieme. Così, per molti anni, il ciclismo affascinante per me fu solo quello delle grandi imprese. L’ammirazione incondizionata era riservata ai cosiddetti scalatori e alle spietate tappe di montagna, meglio se in condizioni climatiche proibitive. Gli specialisti delle cronometro erano sopportati, mentre si arrivava a nutrire una vera ostilità per i velocisti, parassiti della fatica altrui che si facevano belli pedalando fortissimo gli ultimi duecento metri. Poi almeno io ho cambiato idea, tanto da ammettere nell’Olimpo dei miei ricordi sportivi anche qualche volata e un paio di gare a cronometro. Ne racconterò, prima o poi.

[In forma leggermente diversa, questo articolo apparve per la prima volta il 22/11/2012 nel sito antoniomessina.it]

Pubblicato in Sport | Contrassegnato | Commenti disabilitati su Il ciclismo

Diverso differente

Copertina romanzo Il profumo

A rendere unico Jean-Baptiste Grenouille nel panorama letterario è la sua irrimediabile e assoluta solitudine. Il personaggio principale del romanzo Il profumo non ha odore. Questa sua caratteristica lo rende un diverso ma, a me sembra, differente da altre celebri figure di esiliati, emarginati, incompresi. L’assenza di odore, infatti, non cancella Grenouille alla vista ma lo rende invisibile alla coscienza degli altri. Le persone che incontra lo vedono con gli occhi, approfittano della sua abilità, sfruttano la sua forza fisica o usano la sua esperienza da eremita, ma non lo percepiscono davvero, non ne avvertono la presenza, lo dimenticano subito. Non ha odore, dunque non c’è.
Un frettoloso ripasso a memoria mi fa pensare che gli innumerevoli diversi presenti nella letteratura, invece, siano accomunati dal fatto che gli altri si relazionano con la loro diversità. Si tratti di deriderli, di evitarli, di amarli follemente oppure di opprimerli, fra il diverso e gli altri esiste un’interazione. Il percorso di Grenouille, così, risulta anomalo e originale perché assolutamente separato dal mondo in cui vive. Grenouille non è il brutto anatroccolo, prima deriso e poi ammirato. Non è la Sirenetta, interiormente combattuta e contesa da due mondi. Non è Gregor Samsa, tollerato da quella sua famiglia che, però, si volge dall’altra parte per non vedere l’insetto nel quale Gregor si è trasformato. Non è Don Chisciotte, attorno al quale gravitano inconsapevolmente tutti coloro che lo deridono o lo tutelano suo malgrado.
L’elenco potrebbe continuare: Quasimodo, Rigoletto, la Bestia … Aggiungo soltanto che Grenouille non è neppure Achab. L’ossessione (uccidere la balena bianca, creare il profumo che permetta di dominare il cuore degli uomini) è un lato che condividono, ma è il solo. Achab è in lotta con Moby Dick ma anche col suo equipaggio, che sottomette completamente ed al quale non riconosce altro ruolo che quello di servire il delirio del suo capitano. Grenouille, invece, è sempre, irrimediabilmente, solo. Gli altri lo percepiscono nella misura in cui egli decide che ciò avvenga, per gioco, esperimento o per un tornaconto preciso. L’impossibilità di comunicare coi suoi simili alla fine sconfigge Grenouille che, consapevolmente, decide di concludere la sua esperienza di quel mondo che non lo conosce.

[In forma leggermente diversa, questo articolo apparve per la prima volta il 20/11/2012 nel sito antoniomessina.it]


_____

Pubblicato in Libri, arte, cinema, umanità | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Diverso differente

Il fascino della complessità, il ritmo delle proporzioni

Rhein II – Fotografia di Andreas Gursky.

La creatività umana assume le forme più diverse, ciascuna affascinante a modo suo ma che può avere punti di contatto con le altre. Per raccontare la bellezza dello stile usato da Süskind nel Profumo, così, è possibile cominciare da una foto. Quella che vedete riprodotta è Rhein II, del fotografo tedesco Andreas Gursky. È diventata famosa perché l’originale fu venduto all’asta (nel 2011) per oltre quattro milioni di dollari. Ma dimentichiamo la cifra e concentriamoci sull’immagine.
Sebbene sia difficile valutare una gigantografia (l’originale di Andreas Gursky occupa oltre sei metri quadrati) dalle modeste riproduzioni disponibili nel web, appare evidente che una delle chiavi del fascino di questa foto sta nell’equilibrio delle parti. Le due rive del Reno, il fiume che scorre quietamente, una pista di asfalto e il cielo nuvoloso formano sei fasce di altezza differente. Le linee orizzontali sono nette. Eppure, tanto equilibrio appare esatto e indefinibile allo stesso tempo. Una perfezione sfuggente nella quale si fondono geometria e mistero.
Rhein II e Il profumo condividono soprattutto questo: uno stile severo ed essenziale che suggerisce e lascia intuire il fascino della complessità facendo ricorso al ritmo preciso dei numeri, delle regole, delle proporzioni.
Non azzardo teorie generali ma, nella mia mente, questa via per esprimere la grandezza di un mistero che possiamo soltanto sfiorare si associa a geniali figure del nord Europa e tedesche in particolare. Bach e Beethoven, con la loro musica a toccare corde profonde dell’animo attraverso architetture musicali rigorose e complesse, ma anche Linneo (svedese) e Julius Meyer (tedesco), impegnati nella comprensione della natura attraverso la classificazione delle forme viventi e degli elementi fisici.
Il profumo è segnato da uno stile asciutto, necessario. Qualche volta sembra di leggere un documento scientifico. Nel corso del romanzo i pensieri del protagonista Grenouille, anche i più tormentati, sono sempre esposti senza indecisioni, quasi che ci sia solo da dire un contenuto definito e inevitabile. Eppure, è proprio attraverso questo stile che Süskind riesce a raccontarci una figura complessa, malvagia e dolente, potente ed esclusa, che suscita orrore e pietà in misura uguale, che si è fermata per sempre nell’immaginario di milioni di lettori. Anche per questo, nel prossimo articolo spiegherò chi è per me Jean-Baptiste Grenouille.

[In forma leggermente diversa, questo articolo apparve per la prima volta il 23/10/2012 nel sito antoniomessina.it]

Pubblicato in Scienze umane | Commenti disabilitati su Il fascino della complessità, il ritmo delle proporzioni

Il profumo di un genio

Copertina romanzo Il profumo

Nel 1985 fu pubblicato in Germania il romanzo Das profum – Die Geschichte eines Mörders, scritto da Patrick Süskind. Il libro apparve subito anche in Italia, dove uscì col solo titolo principale, Il profumo, senza quello secondario La storia di un assassino. Io lo lessi nel 1992, in edizione tascabile, su consiglio di mia sorella. Quella riprodotta è la copertina della mia copia. Fin dalle prime righe rimasi talmente scosso e ammirato da decidere che non avrei avvicinato altri libri dello stesso autore. Nessun essere umano, pensavo, può raggiungere due volte tanta grandezza e qualsiasi altra opera di Süskind, perciò, mi avrebbe deluso. Addirittura mi accadeva (e mi accade!) di immaginare lo scrittore tedesco come un povero idiota, divenuto tale per lo sforzo mentale eccessivo richiesto dalla perfezione non umana del libro. Un po’ come capita, per chi se lo ricorda, al David Helfgott del film Shine, mentalmente esaurito dallo studio del pianoforte e dell’esigente Concerto per pianoforte e orchestra numero 3 di Rachmaninov. Fatto sta che quando la Biblioteca San Giovanni di Pesaro organizzò una maratona di lettura invitando a leggere un brano dal proprio “libro del cuore”, la mia scelta fu immediata e senza tentennamenti: lo straordinario incipit del romanzo con il quale Patrick Süskind racconta la storia di Jean-Baptiste Grenouille, uomo senza odore.

P.S.
Passato qualche anno non mantenni la promessa e, fra molte titubanze, comprai Il piccione, altro romanzo scritto (nel 1987) da Süskind. Come avevo temuto, l’odore del volatile non resse il confronto.

[In forma leggermente diversa, questo articolo apparve per la prima volta il 29/09/2012 nel sito antoniomessina.it]

Pubblicato in Libri, arte, cinema, umanità | Commenti disabilitati su Il profumo di un genio